martedì 5 agosto 2025


GIACOMO PUCCINI TRA REALTÀ E FANTASIA

 Rosa Elisa Giangoia

    In occasione del centenario della morte di Giacomo Puccini, Maria Primerano, scrittrice e pianista classica per passione, cardiologa per professione, ha messo in campo tutta la sua abilità nella ricerca storico-bibliografica di grandi personaggi, nonché le sue competenze musicali e la sua fervida fantasia per ricreare in modo originale, vivace e accattivante la figura del famoso compositore toscano nel romanzo Buon Natele Puccini. La figura del Maestro fa così seguito a quelle di altri musicisti (Mozart, Rossini, Pergolesi, Paganini e il compositore calabrese Leonardo Vinci) e personaggi famosi (Campanella, Modigliani) a cui la Primerano ha dedicato romanzi di successo.
   Con un’abile tecnica narrativa la scrittrice crea in questo suo nuovo lavoro una situazione originale in cui la vicenda reale di Puccini si snoda su uno sfondo fantasioso. Infatti lo scenario è costituito da un presepe napoletano, affollato di personaggi della tradizione partenopea e dell’attualità, in cui si aggiunge la comparsa della nuova figura del musicista, appena arrivato dal suo abituale mondo della lucchesia per unirsi a questa simpatica compagnia.
   Anche per la sollecitazione di altri personaggi del presepe, viene rievocata tutta la vita del Maestro da Antilisca, un fantastico straordinario animale che, nell’immaginario di Puccini, abitava la zona di Torre del Lago. Si parte dall’infanzia, contrassegnata dalla perdita precoce del padre a cui seguirono difficoltà economiche per la numerosa famiglia, poi l’impegno, fin da giovanissimo, in ambito musica, secondo una consolidata tradizione familiare. Ben presto ci fu il trasferimento a Milano, per completare gli studi musicali, e a poco a poco i primi successi in campo operistico, fino all’affermazione a livello mondiale.
   La rievocazione della vita di Puccini viene condotta, molto opportunamente, dalla scrittrice secondo un duplice canale, quello del suo lavoro di compositore, con il succedersi delle varie opere da Le Villi. Manon Lesacaut, Bohème, Tosca, Madame Batterfly, Il Tabarro, Gianni Schicchi, Suor Angelica, fino alla Turandot, rimasta incompiuta per l’improvvisa malattia e la morte del musicista. Tutto questo in un crescendo di riconoscimenti, applausi, consensi della critica ed entusiasmo del pubblico. D’altro lato Maria Primerano tratteggia la realtà dell’uomo Puccini, dalla personalità esuberante e appassionata, amante della caccia e della pesca a Torre del Lago, delle auto di lusso, delle case sempre più eleganti e sontuose, ma soprattutto… delle belle donne. Sfila così tutta una serie di figure femminili che hanno acceso d’amore l’animo del Maestro, a cominciare da Elvira, con cui convisse per parecchi anni, prima di sposarla, appena rimase vedova. A lei Puccini dava occasione di molti sospetti, molte gelosie, molte recriminazioni e soprattutto tanti dispiaceri per il susseguirsi delle sue avventure amorose con altre donne, di varia estrazione sociale e di caratteri molto diversi, da Corinna, “sprovveduta studentessa”, a Sybil Seligman, dell’alta società inglese, dalla cameriera Doria Manfredi, suicidatasi per le false accuse, alla Baronessa Josephine Von Stangel, alla giovane cantante aspirante al successo Rose Ader e alla popolana Giulia Manfredi, cugina di Doria, da cui avrebbe anche avuto un figlio.
   Il Maestro appare così in tutta la realtà di uomo, impegnato nel suo lavoro creativo, ma sovente anche gravato da vicende sentimentali e familiari che offuscavano le sue giornate e appannavano le occasioni di felicità che gli derivavano dai successi musicali.
   Tutto questo viene raccontato dalla scrittrice con espedienti narratologici molto interessanti, condotti su due binari che si intrecciamo, in quanto recupera con attenzione elementi biografici, avvalendosi di una ricca documentazione epistolare e testimoniale, ma nello stesso tempo tutto viene esposto con la frizzante vivacità che deriva dal dialogo che si intreccia con i personaggi del presepe napoletano, tra i quali primeggia Maria a’ purpettara, abilissima nel preparare polpette atte a punire i mariti infedeli…
   Il mondo di Puccini viene rievocato anche grazie a una serie di interessanti foto d’epoca e con un capitolo dedicato alle ricette dei suoi piatti preferiti, soprattutto per cucinare cacciagione e pesci del lago, ma tra cui, ovviamente, non compare quella delle polpette di Maria a’ purpettara, rigorosamente segreta!
   Il Puccini tratteggiato in queste pagine è senz’altro quello reale, un uomo focoso e inquieto, capace di divertirsi e di far divertire, anche con le sue espressioni sovente audacemente boccaccesche, amante della vita per tutto ciò che di bello e di buono può offrire, ma osservato dall’autrice con una forte punta di ironia, temperata dallo straniamento determinato dalla commistione di vero e di fantastico.
   Una lettura davvero piacevole e interessante che ci proietta in quel tempo, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, in cui la vita e i costumi subirono profondi cambiamenti, orientandosi verso la modernità.

Maria PRIMERANO, Buon Natale Puccini, Arezzo, Edizioni Helicon, 2024, pp. 512, € 25,00.

mercoledì 2 aprile 2025

RECENSIONE


 

L’AZZURRO DELLA POESIA

Rosa Elisa Giangoia


La nuova raccolta poetica di Angela Caccia, autrice dalla voce personale, ampia, articolata e complessa, intitolata Di lentissimo azzurro, ci porta subito a spaziare negli orizzonti infiniti della poesia che, con le suggestioni del mare e del cielo, evoca le tonalità del colore azzurro del titolo che sembra farsi correlativo oggettivo della poesia stessa. Si entra così nell’ambito e nel tempo della poesia stessa in cui, senza soluzioni di continuità, quest’alta umana espressione si è sviluppata fin dai versi di Omero, ricchi di maestria letteraria e di sapienza esistenziale. Quell’Omero che ricompare all’inizio del testo, nella prima lirica: “Sarà servito a qualcosa / leggere Omero” (p. 11) in cui la poetessa sembra volersi ricollegare direttamente a una sua precedente raccolta, Accecate i cantori, evidenziando la lucida profetica saggezza dei poeti, visionari nella loro cecità, come l’aedo greco.
Omero ha aperto un mondo, ha regalato una prospettiva: quella di vedere ciò che ci circonda per raffigurarlo e valutarlo attraverso la poesia. Così anche Angela Caccia guarda e ripercorre il suo mondo, cioè il suo itinerario esistenziale, sub specie carminum, nell’ossimorico intreccio di luce e ombra che ci viene proposto dal suo stile fortemente analogico.
La riflessione della poetessa è incentrata sulla vita, nella sua pluralità di esperienze, nel suo svilupparsi nel tempo, che lei sa bene essere incontrollabile e misteriosa, in quanto “la condizione umana” è “un circolo vizioso del perdersi e ritrovarsi” (p. 12) in cui a fatica può penetrare la poesia, aprendo l’ipotesi che al di là ci sia “una bellezza intatta”. (ibid.) La vita è qualcosa di incompiuto nel suo mistero: “In questo campo da coltivare a / spaglio / tra neve e grano / il nostro imperfetto accade (p. 66). La vita, però, aggiunge continuamente conoscenza e consapevolezza, soprattutto con le esperienze del dolore, della sofferenza, come già insegnavano i tragici greci con la teoria del pàthos/màthos: “Mi pesa la parte di me ferita che / carico ogni giorno sulle spalle / con la stessa cura di Enea per Anchise. / A sera / ho un piccolo raccolto di cui non / vado sempre fiera” (p. 39). Misteriosa è anche la poesia, tanto che la poetessa suppone che essa chieda: “…cosa / rimane in te della mia voce?” (p. 14) a cui può solo rispondere: “vorrei parlarti di questa nostra / vena aperta / e di tutto il silenzio che resta” (ibid.) ma ben conosce la difficoltà del dire, consapevole che “Nessun verso ha il colore del pieno e / chi ne scrive sa / sa che […] / continua a galleggiare nei suoi silenzi”. (p. 17)
Intensa è la riflessione si Angela Caccia sulla poesia che sente nascere con timore e stupore nell’intreccio delle azioni quotidiane: “Qualcosa avverrà da qui a breve / un distico / forse una strofa intera – forse / c’è un legame con l’acqua che ora trabocca dalla pentole / o col sogno che insegui a pezzi” (p. 47) di fronte a cui si percepisce come “il ragno / che finalmente intreccia le sue tele” (p. 48), capace cioè di creare qualcosa di stabilmente compiuto. Ma si sofferma anche nel tentativo di definire la poesia, quel fecondo tentativo di congiungere parole che consolino e orientino: “La parola che pesa / si trasforma in seme: la interri / e mentre semini / cresce il tuo desiderio di crescere / e con lei stare bene in quello / smottamento che resta solitario / e mai realmente solo” (p. 61).
Profonda è la riflessione sulle situazioni dell’umana esistenza, come l’infrangersi di rapporti interpersonali positivi: “Noi / che fummo voce e linguaggio / l’uno all’altro / ora / ci guardiamo di sfondi / ognuno da un confine di croci” (p. 13), ma anche sulla drammatica impossibilità di modificare il nostro passato: “Poter tornare indietro e scegliere / magari / l’alternativa scartata…” (p. 24), nell’unica certezza di andare inesorabilmente verso la fine del nostro esistere: “Chi pensava / di doverla scontare la gioventù?! […] Presto o tardi saremo tutti Lee Masters / parleremo anche noi con la voce dei morti”. (p. 26)
A rimanere immutato è lo scorrere del tempo nel mondo della natura con il susseguirsi delle stagioni, a cui la poetessa dedica versi con tocchi descrittivi e riflessioni esistenziali: “Una folata scosse il leccio” (p. 18) apre un quadro dell’autunno, contrassegnato da una punta di rammarico, mentre in Qui da me viene tratteggiato “un maggio qualunque” (p. 19) e in Da dove vieni? Dove sei stata? la poetessa evoca “l’estate più speziata”. (p. 21)
Emerge anche una vena di poesia civile, teorizzata in Capita (“ma la poesia civile è sangue – indelebile / nell’affronto/confronto / bianco e nero Yin e Yang”, p. 169) che trova voce di responsabilità e denuncia in La parola di fronte al naufragio di migranti con “cento morti” (p. 23) a Steccato di Cutro.
Le riflessioni, le emozioni, le esperienze, gli stati d’animo sono la sostanza della poesia di Angela Caccia, ma tutto questo nei suoi versi si fa espressione lirica attraverso una fantasmagoria di immagini evocative di forte originalità, di ricercatezze espressive finalizzate a un discorso sapienziale che non offre risposte, ma invita alla riflessione e alla ricerca nella dimensione interiore ed esteriore.
Come ogni poesia, anche quella di Angela Caccia, nasce dall’esperienza del mondo e della vita personale, ma acquista valore e interesse per l’originalità del piano espressivo: il suo è un linguaggio di forte originalità creativa, sostenuto da un’efficacia espressiva che sa farsi comunicativa. Questo nasce dalle metafore ardite, dalle sinestesie forti, dall’aggettivazione spiazzante per accostamenti di campi semantici disomogenei fin dal sintagma del titolo “lentissimo azzurro”, capaci di creare quelle onde si suggestioni espressive che percorrono e sostengono tutta la silloge poetica.

Angela CACCIA, Di lentissimo azzurro, Pasian di Prato (UD), Campanotto Editore, 2024, pp. 69, € 13,00.