martedì 23 aprile 2024

IN MEMORIA

Ricordiamo con amicizia e affetto, nonché con ammirazione per la sua produzione letteraria, 

ELIO ANDRIUOLI


che ci ha lasciati il 22 Aprile

e pubblichiamo la sua ultima poesia, di poche settimane fa,

un fiducioso inno alla vita

LA VITE AMERICANA


La vite americana arrossa i muri
screpolati del parco
(accanto le cresce superba
l'azzurra buganvillea).
S'inerpica lenta, signoreggia
questa tarda estate che muore.
L'autunno ha colori gentili,
calde tonalità che s'alternano
insensibilmente sul volto
della terra assorta e ammaliata.
Prima d'immergersi
nel suo lungo sonno invernale
la natura accende
i suoi ultimi fuochi.

Poi sarà il grande silenzio.
Ma qui la neve è leggenda,
e già ai primi di febbraio
la sensitiva mimosa s'accende
del suo oro e col suo fresco richiamo
annuncia che l'inverno è finito.
Un attimo ed è già primavera.
Esulta il cielo di rondini.
Un altro anno così è trascorso
e un po' imbianca l'anima
nel suo lento giro.
La vite americana
altera sul muro fiammeggia,
s'arrampica lieve, cancella
ogni spazio nel suo indomito slancio
verso la luce,
nel suo eterno orrore del vuoto.
Rigogliosa e ridente,
annuncia al mondo
la sua gioia e il suo stupore.

Grida il suo grazie
alla vita che vive.





RECENSIONE


Luigi Picchi

Rosa Elisa Giangoia, poetessa e letterata genovese, ha recentemente pubblicato uno saggio interamente dedicato alla presenza dei fiori nella letteratura, Fiori di parole. I fiori nella letteratura ( Sampognaro & Pupi Edizioni, Siracusa 2023, € 20,00, pp. 250).Una passione personale quella dei fiori, come pure quella per la cucina, conosciuta anche nei suoi impieghi letterari (cfr. in particolare i saggi entrambi del 2020 A convito con Dante. La cucina della Divina Commedia e Ricette nel tempo. I ricettari di cucina come genere letterario). Fiori di parole è una rassegna accurata e ricca di riferimenti, ma non pedante, sull’attenzione ai fiori nella letteratura. Si inizia giustamente con i poeti latini che sono l’humus della nostra produzione letteraria nazionale ed europea: Ovidio, Catullo e il poeta delle rose, Floro, oltre al poemetto anonimo Pervigilium Veneris. In seguito, nel Medioevo, i fiori vengono caricati di significati allegorici, simboli di vizi e virtù, con la relativa santificazione di molti di essi. Così da Bonvesin della Riva, Jacopone da Todi, dai lirici del Duecento e poi dagli stilnovisti si arriva alla dantesca paradisiaca Rosa dei Beati, senza dimenticare le valenze mariane della rosa regina dei fiori, dapprima allegoria dell’amor profano e poi sacro. Dopo Petrarca, concentrato sul lauro e sulla rosa, entriamo, soprattutto con Poliziano, nella cultura neopagana umanistico-rinascimentale con una lettura fortemente edonistica della flora. Non può mancare un capitolo sull’eliotropio di Ovidio che, però, non è lo stesso di Montale (il nostro girasole arriva dalle Americhe). Manzoni era un botanico e quindi non si può ignorare la competenza con cui arruola i fiori nella sua opera letteraria tanto poetica quanto narrativa: saliente l’episodio della vigna di Renzo in stato di abbandono. E se Leopardi è diventato famoso come il poeta del La Ginestra, Whitman con il suo epicedio per la morte del Presidente Abramo Lincoln dà fama e visibilità ai lillà. L’Ottocento vede la diffusione della camelia, fiore proveniente dal Giappone. Pascoli e Gozzano invece prestano attenzione a fiori più modesti ampliando il repertorio lirico. Il tardoromanticismo e il decadentismo promuovono fiori come l’asfodelo, l’amaranto e il crisantemo, destinato ben presto, almeno in Italia, a diventare fiore funerario. Il geranio e la rosa di Giorgio Caproni, poeta genovese poi romano d’adozione, chiudono questo meraviglioso viaggio floreale, questo percorso attraverso il giardino che è la Letteratura dove i poeti, in una festa di colori e profumi, come api bottinatrici, volano di fior in fiore.

Il segno, aprile 2024

lunedì 22 aprile 2024

RECENSIONE


LA RABBIA E IL PERDONO

Isa Morando

In copertina un cielo azzurro, il mare di variegato blu, due gabbiani: uno, in primo piano, le ali protese a fendere l'aria. Solo alla fine del romanzo verrà chiarito il perché del titolo, Gli uccelli non hanno vertigini.

È il primo romanzo di Mario Cordova, attore e soprattutto grande doppiatore, voce italiana degli attori americani più famosi.
Il racconto si apre con una premessa angosciante: un uomo punta la pistola contro una donna che lo supplica, lui le intima di tacere, minaccia ma non spara. L'uomo si chiama Marco ed è protagonista del romanzo, nello svolgersi delle azioni e negli itinerari della memoria che si snodano, ineludibili, tra devastanti angosce, drammatiche decisioni, ripensamenti, fino all'elegiaca conclusione, che sembra placare le tempeste della vita nella malinconica dolcezza del perdono e di una nuova consapevolezza.
Marco ha vissuto lo strazio dell'amore tradito, dell'abbandono che si configura come il tema di fondo della sua esistenza. Ha amato ed è stato amato con passione, ha provato le esperienze estreme del desiderio e del sesso, in un'ansia di appagamento erotico che si trasforma in un'arma pericolosa e distruttiva. Ha provato il tormento psicofisico del tradimento, delle confessioni sconvolgenti che aprono abissi inaspettati di verità nascoste, di esistenze diverse rispetto alle apparenze, in un vortice pirandelliano di logorante contrasto tra l'essere e l'apparire. Marco sembra difendersi con gli eccessi verbali, con l'aggressività, un'apparente autodifesa che si rivela inefficace di fronte a un mondo umano di maschere, un mondo che gli è ostile e comunque determinato a nascondergli scomode - o tragiche - verità. Niente è come appare. La sua psiche ne è travolta non meno che il suo corpo. Sarà la parola a imprimere la svolta: la parola parlata - la confessione della madre, il suo tradimento - e la parola scritta - affidata al computer - del padre morto, odiato negli anni per il suo abbandono della famiglia, per un tempo lunghissimo: una confessione dolente e tenera, in cui l'amore per i figli si esprime nel racconto di una verità a lungo nascosta e ora espressa con toni di struggente elegia.
Se non sei disposto a perdere, non vincerai mai niente. ... non c'è alternativa al crescere... bisogna imparare a volare. Perché gli uccelli non hanno vertigini... . È il messaggio che chiude la lunga lettera del padre, rivelatrice - senza odio o risentimento - di una realtà altra, nascosta per lunghi anni e ora emersa nella sua dolente verità.
Il romanzo si avvia alla conclusione con la ripresa della situazione di apertura: Marco che punta la pistola contro Elena, la moglie che lo ha abbandonato con la velata accusa di aver causato il suo aborto. La morte del bambino mai nato a cui era già stato dato un nome - Luca - l'ha allontanata da lui, giorno dopo giorno, le ha fatto cercare una via di scampo, tra le braccia di un altro uomo. Lo ha lasciato. E ora Marco scopre che è incinta di un altro figlio, il figlio dell'altro. Abbassa la pistola e piange, come un cucciolo sperduto... lacrime accompagnate da un sorriso.
Il capitolo finale vede Marco piangere ancora lacrime leggere..., come a lavare la pena che ha dentro, davanti alla tomba del padre, sepolto nella terra di cui immagina il soffio vitale, accanto a tombe di giovani che sembrano respirare ancora la vita. Ha perdonato, ha chiesto perdono. Ora è pronto a ricominciare.
La terra, la vita.
È tutto così vero qui, papà...

Nelle pagine conclusive dei Ringraziamenti è raccontata senza veli la spinta autobiografica da cui è nato il romanzo: le convulse esperienze romane del difficile mondo dello spettacolo accanto alle esperienze personali, e il ricordo di Genova, dell'adolescenza di Mario Cordova (città difficile, Genova, chiusa e meravigliosa: le brevi descrizioni delle atmosfere genovesi sono autentici "pezzi" di rara efficacia).

Mario Cordova, Gli uccelli non hanno vertigini, Chiugiana, Ellera (Perugia), Bertoni Editore, 2023, pp. 235, € 18