venerdì 28 giugno 2019

LETTERA-RECENSIONE


Suor Mariangela De Togni
Suor Mariangela carissima,

il tuo Nel fiato umido dell’autunno ha una luce profonda e intensa che si genera e rigenera ad ogni verso e che viene amplificata dalla brevità dei testi. Amplificata perché nella brevità la parola si fa più densa e marcata e l’infinito e la bellezza del creato trovano la loro dimensione più autentica e pura. La brevità fa sbocciare la parola e la Parola nella sua pienezza, e da questa parola/Parola subito si viene pervasi, la si sente come dimora, come il Tempo e lo Spazio che ci sospinge e in cui si desidera essere sospinti. E’ l’incontro, questa parola, di molteplici tu, il tu della tua scrittura e il tu del lettore a cui ti rivolgi, e poi ancora il tu del creato e il Tu del Creatore. Tutto nei tuoi versi vive e si fa Vita e richiamo. E invito. Invito a riconoscersi sempre parte di ciò che ci circonda e che ci è stato donato in nome dell’amore e per amore.

                 Grazie, Suor Mariangela per questo libro che è pienezza e testimonianza, testimonianza di ciò che è l’Amore e di ciò che l’Amore può donarci.

Silvia Comoglio


Silvia Comollo

venerdì 21 giugno 2019

RECENSIONE

Rosa Elisa Giangoia

Con la nuova silloge poetica Nel fiato umido dell’autunno Mariangela De Togni prosegue il suo percorso lirico incentrato sulla meraviglia di fronte all’apparire di ciò che cade sotto il suo sguardo, sempre rivestito da un’attrattiva di novità. Costante è la percezione del mistero della novità degli elementi consueti che sempre si rivelano «in un ventaglio / di possibilità» (Nel porto liquefatto), identici e, nello stesso tempo, nuovi sono il «cielo d’indaco», «il cerchio sbiadito / della luna», «le stelle», il «cielo vellutato», «le verdi pareti del mare». Il senso di novità, che porta la poetessa fino allo smarrimento, è dato dalle immagini stranianti del suo spirito che approda «nel porto liquefatto di stelle, / dove, sotto i portici / della notte, si vendono / onde di scoglio» in un susseguirsi di sfondamenti del muro del naturalismo che prelude ad oltrepassare la realtà per riparare «sotto una gronda divina, / per non smarrire / la polifonia dell’esistenza».
In questa prima lirica della raccolta è già racchiusa e compiutamente espressa la personale tonalità di questa nuovo libro di Mariangela De Togni che con le parole sapienti della poesia sa ricomporre «frantumate / lontananze», collegando il tempo con l’eterno e attivando la capacità di «vedere nel profondo / dell’anima», dove si avverte «nel silenzio / l’accorata salmodia / del cuore».
Quello che appare da queste poesie è un mondo di luce, che diventa metafora e simbolo di speranza, da cui l’anima «sale a veleggiare nel cielo» in quella tensione ascensionale che è sempre anelito d’incontro con il “tu” che partecipa e condivide comunanze di privilegiata esperienza in un intenso e fiducioso dialogo che trapassa la realtà per attingere ad una più alta esperienza di comunicazione con un Tu, assoluto e universale, ma pur sempre venata di interrogativi sostenuti da fiducia e speranza (Vento di Sion).
Le poesie di Mariangela De Togni sono intessute di immagini di luminosa bellezza in cui si fondono la luce, i colori, i profumi, i fiori, il vento, i frulli delle ali per creare paesaggi di intensa e straordinaria suggestione in un trapassare metamorfico di attrazioni. L’atmosfera di queste liriche è rarefatta, sospesa in una magia di elementi della natura che dialogano in un rapporto vitale che la poetessa percepisce in modo privilegiato e vive in una dinamica di personale interna ascesa che nasce da intime emozioni affidate alla poesia, in quanto «Scrivere è estrarre / dalla propria anima la bellezza; / un bisogno interiore» (Perché scrivere se scarto il silenzio).
Queste liriche dimostrano ancora una volta, come nella precedente produzione di Mariangela De Togni, una fede profonda e sincera, vissuta in gioiosa armonia, senza appesantimenti dottrinali e pastoie confessionali, fondata sulla consapevolezza che «Dio è un’occasione di stupore ancora più grande» (Queste tue mani). È una fede nell’assoluto, percepito come entità presente nel pulsare della vita nelle sue varie manifestazioni, alla cui contemplazione ed esaltazione la poetessa destina il suo canto. Dice infatti: «cercando / ai bordi del tempo / l’impronta divina / e nei sospiri / delle cose» (Attesa leggera). È questo un canto che dà gioia e serenità a lei che scrive e in cui in positivo coinvolge i lettori con un’attraente atmosfera di pacificazione interiore, grazie ad una spiritualità profonda e autentica.

Mariangela De Togni, Nel fiato umido dell’autunno, Rimini, Fara Editore, 201

mercoledì 5 giugno 2019

L'ULTIMO ROMANZO DI ROSA ELISA GIANGOIA : “FEBE - DAL TEMPO ALL'ETERNO”.


Luigi De Rosa

 La scrittrice Rosa Elisa Giangoia, che vive e opera a Genova dove ha insegnato  Materie Letterarie nei Licei, ha messo la sua eccezionale preparazione classica al servizio della ricerca didattica in corsi di aggiornamento per docenti presso associazioni culturali e professionali. Inoltre ha svolto attività di consulente degli Assessorati alla Cultura della Regione Liguria e della Provincia di Genova. E' redattrice di numerose riviste letterarie e culturali tra cui XENIA, di Genova, e NUOVA TRIBUNA LETTERARIA di Padova.
Come scrittrice ha al suo attivo notevoli pubblicazioni sia nel campo della poesia (raffinate sillogi di liriche) sia in quello della prosa ( romanzi e racconti, e saggi di gatronomia letteraria).
Il suo ultimo romanzo Febe – dal tempo all'eterno (Europa Edizioni, Roma 2018, 198 pagg. euro 14,90) costituisce il punto più alto nella sua storia di scrittrice, al culmine di esperienze fondamentali nel campo della lirica, del pensiero, della visione storico-religiosa della vita umana e del mondo.
Febe è una donna greca, di Cencre presso Corinto, una vedova colta, sensibile e gentile, alla quale il marito ha lasciato una ricca eredità, frutto della proprietà di alcune navi con le quali suo figlio Ippolito esercita il commercio nel mar Egeo e fino ad Ostia e a Roma. Ma non è il denaro che può saziare la ricerca di assoluto di Febe che soffre molto per la solitudine interiore e per la mancanza di un soddisfacente senso della vita e dell' Aldilà.
Ella passa da una esperienza all'altra circa il culto degli Dei dell'Olimpo o dei Misteri Eleusini o in ricerche presso filosofi ed astrologi. Soffre per la perdita dell'affetto del marito e per le lunghissime assenze del figlio tanto che teme perfino che egli sia morto o sia prigioniero dei predoni in qualche luogo sconosciuto.
Un giorno a Corinto vede una folla di ebrei che minaccia l'incolumità di un altro ebreo, Paolo di Tarso.