sabato 28 dicembre 2019

RICORDO di GUIDO ZAVANONE


                                                                                                                                 
                                                    Rosa Elisa Giangoia


Ad un mese dalla scomparsa (29 novembre 2019) vogliamo ricordare con affetto e rimpianto il nostro socio, insigne poeta, GUIDO ZAVANONE.

    Lungo è stato il percorso poetico di Guido Zavanone dall’esordio con La terra spenta (1962) fino a Foto ricordo a cui si è dedicato con tanto impegno nell’ultimo periodo e appena pubblicato. Nato ad Asti nel 1927, ma formatosi con gli studi liceali ed universitari a Genova, dove è vissuto, esercitando la professione di magistrato fino alla nomina a Procuratore Generale presso la Corte d’Appello della città. Ha collaborato a varie riviste fin dagli anni ’60 (“Diogene”, “Letteratura”, “Il caffè”, “Il ponte”), è stato successivamente redattore di “Resine”, “NuovoContrappunto”, “Satura” e “Xenia”, ha istituito una Fondazione con il nome suo e della moglie Giovanna Giordano per la promozione della poesia contemporanea, soprattutto in Liguria, con Vittorio Coletti, Rosa Elisa Giangoia e Stefano Verdino.
   La poesia è sempre stata la sua forma d’espressione privilegiata a cui si è dedicato con impegno e passione nella ricerca di una voce sempre più pregnante ed efficace per esprimere la sua sofferta riflessione sull’esistenza umana.  Dopo la prima silloge, la sua produzione si è sviluppata in una numerosa serie di pubblicazioni: Arteria (1983), La vita affievolita (1986), Il viaggio (1991), Qualcosa (1994), Se restaurare la casa degli avi (1994), Care sembianze (1998), L'albero della conoscenza (2004), Il viaggio stellare (2009), Tempo nuovo (2013). Molta parte di queste sillogi è poi confluita nell’ampia autoantologia Lo sciame delle parole (Interlinea, 2015), ma l’ispirazione poetica di Zavanone non si è spenta, anzi la sua riflessione si è fatta più intensa e profonda nella consapevolezza del declino che l’ha portato a raccogliere presso l’editore San Marco dei Giustiniani i suoi due precedenti poemi sul “viaggio” in Percorsi della poesia (2017) e a comporre le nuove sillogi L’essere e l’ombra (2018) e Foto ricordo (2019). A tutta questa produzione creativa vanno aggiunte alcune significative traduzioni dal francese, in particolare da Supervielle e dai poeti legati alla rivista “Autre Sud”, e il romanzo di amara e ironica riflessione sulle debolezze umane La Volpona, scritto negli anni ’60 e ampiamente rielaborato per la recente pubblicazione (Manni, 2019), a cui dovrebbe far seguito quella postuma in volume anche del romanzo Le salmonelle a Rado, già apparso a capitoli sulle riviste “Satura” e “Xenia”.
   La poesia di Guido Zavanone, fin dagli inizi, è stata apprezzata da autori significativi (Camillo Sbarbaro, Andrea Zanzotto, Angelo Barile, Vico Faggi e Giuseppe Conte) e ha ricevuto importanti premi letterari, tra cui i più recenti sono stati il Cesare Pavese nel 2013 e il Firenze nel 2017. Di lui si sono occupati critici di rilievo come Giorgio Bárberi Squarotti, Nerio Bonifazi, Elio Gioanola, Angelo Marchese, Angelo Mundula, Giovanni Tesio, Stefano Verdino, Vittorio Coletti, Giorgio Ficara e altri.
    Poesie di Guido Zavanone sono state tradotte in francese, rumeno, sloveno e maltese.
    La sua è stata riconosciuta come una valida voce poetica anche per la capacità di padroneggiare con efficacia espressiva misure testuali diverse, dall’epigramma e dalla poesia breve, talvolta con movenze da haiku, alle poesie di più ampio respiro, fino alla misura del poema ne Il viaggio e nel Viaggio stellare. A questo si aggiunge l’originalità di sentimento e di espressione, soprattutto per le metafore di forte icasticità e per il tessuto poetico caratterizzato da una calibratura funzionale e significativa tra musicalità e dissonanze.   
    La lirica di Zavanone si snoda lungo una linea costante, caratterizzata dalla fedeltà alla domanda di senso sull’esistenza umana e vive dell’equilibrato rapporto tra riflessione e descrizione, in quanto il narrare, sovente utilizzato, non è mai fine a se stesso, ma assume sempre finalità emblematiche tra il simbolo e l’allegoria. A predominare nell’ispirazione poetica è una revisione critica da parte della coscienza morale indirizzata dalla ragione capace di cogliere con profetica anticipazione gli abbrutimenti della nostra società fin dal primo apparire. L’interrogarsi sul senso dell’umana esistenza e la ricerca di Dio, non raggiungendo soddisfacenti risposte e mete, si fanno sovente amara constatazione con venature ironiche che alleggeriscono l’impegno del riflettere e orientano verso un atteggiamento di accettazione che s’infittisce di spessore spirituale e di movenze stoiche con il passare degli anni e con la consapevolezza del declino fisico e dell’avvicinarsi della fine. Questa diventa la riflessione dominante e intensamente sofferta dell’ultima raccolta poetica (Foto ricordo) che si conclude, però, con un invito alla speranza, riconosciuta come unica salvezza («Speranza è la cosa più giusta»).



venerdì 27 dicembre 2019

RECENSIONE


DIALOGO CON IL MONVISO

Rosa Elisa Giangoia

A dominare questa nuova silloge poetica di Beppe Mariano è, come indica già il titolo, il Monviso, la grande montagna incombente nel paesaggio dove il poeta vive. È un monte maestoso, affascinante e incombente, ricco di memorie storiche e di suggestioni leggendarie. Ma è anche il simbolo dell’ascendere, un invito attraente a raggiungere una vetta che sembra toccare il cielo. Questo fascino viene compiutamente espresso nella poesia Salire in cui il legame tra il monte e il cielo è rivelato dal «volo ondoso / delle ballerine bianche che l’àugure / monvisano sa ancora interpretare»: il cielo e la terra entrano in dialogo per chi è erede e custode della sapienza antica. L’attrazione del salire è forte: «Bisogna salirvi / fino a che lo sguardo non giunga / a un mareggiare di cime» dice il poeta in L’orizzonte e aggiunge «L’orizzonte, infine, risulterà più esteso, / reso migliore dalla fatica».  Ma, a vanificare la fatica dell’ascesa, è la realtà: «Salgo sulla cima più alta, l’orizzonte totale. / Ma di lassù scorgo cime ancora più alte». Anche qui si ripete per il poeta l’interrogativo nodale di ogni sua riflessione: «Come venire a capo della vita?» (Viaggio ingessato). Non resta che sperare, o forse illudersi, entrando in dialogo ironico e dubbiosamente contrastivo con Montale: «Oppure l’anello che non tiene / per un attimo terrà?» (Il proposito).
Verificata l’impossibilità di attingere ad una convincente risposta sul senso della nostra umana esistenza, al poeta non resta che proteggersi in «un carapace di ghiaccio», sperando di essere «un giorno / ritrovato: come un antico egizio / bendato e ancora tutto intero» (Al mio angelo), in una disincantata e ironica speranza di acquisire in futuro soddisfacenti risposte…
Ma se il Monviso, magico e misterioso, «metà d’una clessidra la cui parte superiore è invisibile» (Il Monviso intendilo, lettore), non sa dare le risposte agli assillanti interrogativi esistenziali del poeta, questo monte, colto con più realismo nella sua «sottana verde e graduata» (Specista) può diventare l’interlocutore privilegiato per un dialogo acuto e serrato su tante questioni che attraversano e contraddistinguono il nostro attuale vivere quotidiano.  Per non parlare da solo, ora che parlare da soli «è diventato normale» in questo mondo in cui ciascuno «non ascolta altri che sé» (Fin dalla pubertà), il poeta tiene fisso uno sguardo sul Monviso, consapevole della sua «parte superiore […] invisibile» e l’altro sul mondo che lo circonda di cui coglie aspetti e situazioni negative, ad iniziare dall’incapacità di ascoltare e di dialogare seriamente, mentre la montagna ha tante voci, tanti linguaggi (Sali a te stessa). Nel mondo, invece, ci sono muri, visibili e invisibili, che solo la poesia può combattere «poetando quasi senza interruzione» (Alzare muri).
Il poeta ha un occhio particolare che gli permette di vedere La verità vera, per poter osservare, senza essere visto, l’«africano» che «Ha issato sul balconetto un padellone TV / ed ora può vedere il mondo e con meraviglia / a colori il cosmo dove immagina / la sua famiglia massacrata / trasvolare lungo una flottiglia di stelle» (A colori il cosmo). Amara constatazione della vicenda di un emigrante che si compiace della sua nuova situazione, a differenza di tanti altri Emigranti che «vorrebbero anch’essi avere le ali» come i gabbiani a cui «ne staccano / alcune […]. Ma sono troppo piccole per potersene servire», per cui «non se ne possono andare», ma devono rimanere sotto lo sguardo di quei borghesi che «sorridono dal lungomare dorato», mentre «altri esprimono riprovazione». In questo mondo degli immigrati, fatto di dolore e di speranza, guardato dal poeta con umana pietà, c’è anche «l’eritrea di efebica bellezza» a cui, quando «Colpita da un retrovisore / sta per rovinare a terra» (Sopra) «due ali spiccano» che le consentono di volare «sopra le macchine stesse». All’indifferenza nei confronti degli immigrati si aggiunge quella per i molti nel nostro paese colpiti dal recente susseguirsi di eventi sismici, ma, a questo proposito, l’attenzione del poeta, con venature virgiliane, va a chi soffre, dimenticato più degli uomini, cioè agli animali, come Le pecore che «Hanno di lana dovuto alimentarsi, / strappandola coi denti una all’altra, / pur di non sbranarsi». E il dolore accomuna tante altre persone, come le donne violentate e stuprate, ma «Straziate / ancor più da compagni narcisi, che pretendono invece che amore servigi, / secondo l’usa-e-getta del tempo» (Rosetta). Accanto a loro, gli uomini disperati per la perdita del lavoro (Calurafa), tanto che a dominare sembra essere sempre più l’ingiustizia sociale (Scenari) che crea la violenza e rende insicura la nostra incolumità (Lo spandicicche). Ironica e fantasiosa la descrizione di una delle più diffuse acquisizioni dell’ingegneria bio-medica, La risonanza magnetica in cui la sensazione di essere «riposto in un loculo» si trasforma in quella di diventare «un proiettile spaziale», capace di sorvolare il Monviso da dove il poeta vede il suo «alter ego» «arrampicare sulla pietraia»: è un’esperienza surreale tra perdita e recupero della propria corporeità, ma soprattutto un’osservazione ironica e disincantata di una pratica diagnostica diventata ormai consuetudine nella quotidianità…
Ci rendiamo così conto che il poeta Mariano guarda veramente il mondo da quella metà invisibile dell’ipotetica clessidra del Monviso («il suo rovescio» del titolo) da cui molte cose della terra rivelano tutta la loro problematicità, ma anche la loro inadeguatezza e incongruenza, fino a sfiorare l’assurdo…
A dominare è pur sempre l’incomprensibile, perché l’unica verità a cui si può approdare è un ossimoro: «la favola / d’un infinito circoscritto», indagata dagli scienziati i quali, però, non sono ancora arrivati oltre quel «residuo palatale» della «voce di Dio / quando ha creato l’universo» «che gli astrofisici chiamano / onda gravitazionale» (La voce di Dio).
Tutto questo ci dice Beppe Mariano in questo suo ultimo libro in un linguaggio poetico fatto di impuntature dissonanti e di efficaci creazioni linguistiche, da «lucciolando» a «s’ammoscano» a «spandicicche» a «spetalato», di recuperi dialettali («Ala mala cirimela»), di neologismi, come «specista» e «trumpismo», di forzature lessicali, come «tremota», «infosca», «inquinatori», «strabicare», «svinazza». Un poeta che sa abilmente piegare il lessico alle sue necessità di efficacia espressiva, con pregnanza e rispondenza, è un autore che conferma la validità contenutistica e formale della sua poesia.

BEPPE MARIANO, Il Monviso e il suo rovescio, Milano, Mursia 2019, pp. 75, € 15,00.

Il Monviso e la Sacra di San Michele


GRUPPO DI LETTURA


MARTEDI' 17 DICEMBRE al GRUPPO di LETTURA presso la BIBLIOTECA SERVITANA eravamo in 7 e sono stati presentati i seguenti kibri:

EZIO STARNINI, Genova dentro (Raffaella Silvestrini);

ROBERTO BERETTA, Il piccolo ecclesialese illustrato (Enrico Garano);

VINCENZO PETRONI, L'Italia dei padri Giorgio Olivari);

GIANRICO CAROFIGLIO, Non esiste saggezza (Iolanda Bianchi);

EUGENIO CORTI, Il cavallo rosso (Gianna Orengo);

SONIA MORGANTI, Il magnifico perdente (Rosa Elisa Giangoia).



Il prossimo incontro si terrà sempre presso la BIBLIOTECA SERVITANA di via Baroni a Genova martedì 21 gennaio 2020 alle ore 16.30.

PROGRAMMA DI DICEMBRE

MERCOLEDÌ 4 DICEMBRE ore 16.30
Biblioteca Servitana – via Baroni – Genova
Gruppo ANTICA FOCE


GIOVEDÌ 12 DICEMBRE ore 18.30
MBA – Museo dell’Attore – Via del Seminario, 10 - Genova
Nell’ambito della Tavola rotonda
ALL’OMBRA DELLE QUINTE.
ESPERIENZE FEMMINILI NELLA CREAZIONE E DIREZIONE TEATRALE
IN LIGURIA
Intervento di Rosa Elisa Giangoia
MARGHERITA FAUSTINI: SCRITTI PER IL TEATRO
(locandina sul retro)


MARTEDÌ 17 DICEMBRE ore 16.30
Biblioteca Servitana – via Baroni – Genova
GRUPPO di LETTURA
Con scambio degli auguri natalizi