venerdì 27 dicembre 2019

RECENSIONE


DIALOGO CON IL MONVISO

Rosa Elisa Giangoia

A dominare questa nuova silloge poetica di Beppe Mariano è, come indica già il titolo, il Monviso, la grande montagna incombente nel paesaggio dove il poeta vive. È un monte maestoso, affascinante e incombente, ricco di memorie storiche e di suggestioni leggendarie. Ma è anche il simbolo dell’ascendere, un invito attraente a raggiungere una vetta che sembra toccare il cielo. Questo fascino viene compiutamente espresso nella poesia Salire in cui il legame tra il monte e il cielo è rivelato dal «volo ondoso / delle ballerine bianche che l’àugure / monvisano sa ancora interpretare»: il cielo e la terra entrano in dialogo per chi è erede e custode della sapienza antica. L’attrazione del salire è forte: «Bisogna salirvi / fino a che lo sguardo non giunga / a un mareggiare di cime» dice il poeta in L’orizzonte e aggiunge «L’orizzonte, infine, risulterà più esteso, / reso migliore dalla fatica».  Ma, a vanificare la fatica dell’ascesa, è la realtà: «Salgo sulla cima più alta, l’orizzonte totale. / Ma di lassù scorgo cime ancora più alte». Anche qui si ripete per il poeta l’interrogativo nodale di ogni sua riflessione: «Come venire a capo della vita?» (Viaggio ingessato). Non resta che sperare, o forse illudersi, entrando in dialogo ironico e dubbiosamente contrastivo con Montale: «Oppure l’anello che non tiene / per un attimo terrà?» (Il proposito).
Verificata l’impossibilità di attingere ad una convincente risposta sul senso della nostra umana esistenza, al poeta non resta che proteggersi in «un carapace di ghiaccio», sperando di essere «un giorno / ritrovato: come un antico egizio / bendato e ancora tutto intero» (Al mio angelo), in una disincantata e ironica speranza di acquisire in futuro soddisfacenti risposte…
Ma se il Monviso, magico e misterioso, «metà d’una clessidra la cui parte superiore è invisibile» (Il Monviso intendilo, lettore), non sa dare le risposte agli assillanti interrogativi esistenziali del poeta, questo monte, colto con più realismo nella sua «sottana verde e graduata» (Specista) può diventare l’interlocutore privilegiato per un dialogo acuto e serrato su tante questioni che attraversano e contraddistinguono il nostro attuale vivere quotidiano.  Per non parlare da solo, ora che parlare da soli «è diventato normale» in questo mondo in cui ciascuno «non ascolta altri che sé» (Fin dalla pubertà), il poeta tiene fisso uno sguardo sul Monviso, consapevole della sua «parte superiore […] invisibile» e l’altro sul mondo che lo circonda di cui coglie aspetti e situazioni negative, ad iniziare dall’incapacità di ascoltare e di dialogare seriamente, mentre la montagna ha tante voci, tanti linguaggi (Sali a te stessa). Nel mondo, invece, ci sono muri, visibili e invisibili, che solo la poesia può combattere «poetando quasi senza interruzione» (Alzare muri).
Il poeta ha un occhio particolare che gli permette di vedere La verità vera, per poter osservare, senza essere visto, l’«africano» che «Ha issato sul balconetto un padellone TV / ed ora può vedere il mondo e con meraviglia / a colori il cosmo dove immagina / la sua famiglia massacrata / trasvolare lungo una flottiglia di stelle» (A colori il cosmo). Amara constatazione della vicenda di un emigrante che si compiace della sua nuova situazione, a differenza di tanti altri Emigranti che «vorrebbero anch’essi avere le ali» come i gabbiani a cui «ne staccano / alcune […]. Ma sono troppo piccole per potersene servire», per cui «non se ne possono andare», ma devono rimanere sotto lo sguardo di quei borghesi che «sorridono dal lungomare dorato», mentre «altri esprimono riprovazione». In questo mondo degli immigrati, fatto di dolore e di speranza, guardato dal poeta con umana pietà, c’è anche «l’eritrea di efebica bellezza» a cui, quando «Colpita da un retrovisore / sta per rovinare a terra» (Sopra) «due ali spiccano» che le consentono di volare «sopra le macchine stesse». All’indifferenza nei confronti degli immigrati si aggiunge quella per i molti nel nostro paese colpiti dal recente susseguirsi di eventi sismici, ma, a questo proposito, l’attenzione del poeta, con venature virgiliane, va a chi soffre, dimenticato più degli uomini, cioè agli animali, come Le pecore che «Hanno di lana dovuto alimentarsi, / strappandola coi denti una all’altra, / pur di non sbranarsi». E il dolore accomuna tante altre persone, come le donne violentate e stuprate, ma «Straziate / ancor più da compagni narcisi, che pretendono invece che amore servigi, / secondo l’usa-e-getta del tempo» (Rosetta). Accanto a loro, gli uomini disperati per la perdita del lavoro (Calurafa), tanto che a dominare sembra essere sempre più l’ingiustizia sociale (Scenari) che crea la violenza e rende insicura la nostra incolumità (Lo spandicicche). Ironica e fantasiosa la descrizione di una delle più diffuse acquisizioni dell’ingegneria bio-medica, La risonanza magnetica in cui la sensazione di essere «riposto in un loculo» si trasforma in quella di diventare «un proiettile spaziale», capace di sorvolare il Monviso da dove il poeta vede il suo «alter ego» «arrampicare sulla pietraia»: è un’esperienza surreale tra perdita e recupero della propria corporeità, ma soprattutto un’osservazione ironica e disincantata di una pratica diagnostica diventata ormai consuetudine nella quotidianità…
Ci rendiamo così conto che il poeta Mariano guarda veramente il mondo da quella metà invisibile dell’ipotetica clessidra del Monviso («il suo rovescio» del titolo) da cui molte cose della terra rivelano tutta la loro problematicità, ma anche la loro inadeguatezza e incongruenza, fino a sfiorare l’assurdo…
A dominare è pur sempre l’incomprensibile, perché l’unica verità a cui si può approdare è un ossimoro: «la favola / d’un infinito circoscritto», indagata dagli scienziati i quali, però, non sono ancora arrivati oltre quel «residuo palatale» della «voce di Dio / quando ha creato l’universo» «che gli astrofisici chiamano / onda gravitazionale» (La voce di Dio).
Tutto questo ci dice Beppe Mariano in questo suo ultimo libro in un linguaggio poetico fatto di impuntature dissonanti e di efficaci creazioni linguistiche, da «lucciolando» a «s’ammoscano» a «spandicicche» a «spetalato», di recuperi dialettali («Ala mala cirimela»), di neologismi, come «specista» e «trumpismo», di forzature lessicali, come «tremota», «infosca», «inquinatori», «strabicare», «svinazza». Un poeta che sa abilmente piegare il lessico alle sue necessità di efficacia espressiva, con pregnanza e rispondenza, è un autore che conferma la validità contenutistica e formale della sua poesia.

BEPPE MARIANO, Il Monviso e il suo rovescio, Milano, Mursia 2019, pp. 75, € 15,00.

Il Monviso e la Sacra di San Michele


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