DIALOGO
CON IL MONVISO
Rosa Elisa Giangoia
A
dominare questa nuova silloge poetica di Beppe Mariano è, come indica già il
titolo, il Monviso, la grande montagna incombente nel paesaggio dove il poeta
vive. È un monte maestoso, affascinante e incombente, ricco di memorie storiche
e di suggestioni leggendarie. Ma è anche il simbolo dell’ascendere, un invito
attraente a raggiungere una vetta che sembra toccare il cielo. Questo fascino
viene compiutamente espresso nella poesia Salire in cui il legame tra il
monte e il cielo è rivelato dal «volo ondoso / delle ballerine bianche che
l’àugure / monvisano sa ancora interpretare»: il cielo e la terra entrano in
dialogo per chi è erede e custode della sapienza antica. L’attrazione del
salire è forte: «Bisogna salirvi / fino a che lo sguardo non giunga / a un mareggiare
di cime» dice il poeta in L’orizzonte e aggiunge «L’orizzonte, infine,
risulterà più esteso, / reso migliore dalla fatica». Ma, a vanificare la fatica dell’ascesa, è la
realtà: «Salgo sulla cima più alta, l’orizzonte totale. / Ma di lassù scorgo
cime ancora più alte». Anche qui si ripete per il poeta l’interrogativo nodale
di ogni sua riflessione: «Come venire a capo della vita?» (Viaggio ingessato).
Non resta che sperare, o forse illudersi, entrando in dialogo ironico e
dubbiosamente contrastivo con Montale: «Oppure l’anello che non tiene / per un
attimo terrà?» (Il proposito).
Verificata
l’impossibilità di attingere ad una convincente risposta sul senso della nostra
umana esistenza, al poeta non resta che proteggersi in «un carapace di ghiaccio»,
sperando di essere «un giorno / ritrovato: come un antico egizio / bendato e
ancora tutto intero» (Al mio angelo), in una disincantata e ironica
speranza di acquisire in futuro soddisfacenti risposte…
Ma
se il Monviso, magico e misterioso, «metà d’una clessidra la cui parte
superiore è invisibile» (Il Monviso intendilo, lettore), non sa dare le
risposte agli assillanti interrogativi esistenziali del poeta, questo monte, colto
con più realismo nella sua «sottana verde e graduata» (Specista) può
diventare l’interlocutore privilegiato per un dialogo acuto e serrato su tante
questioni che attraversano e contraddistinguono il nostro attuale vivere
quotidiano. Per non parlare da solo, ora
che parlare da soli «è diventato normale» in questo mondo in cui ciascuno «non
ascolta altri che sé» (Fin dalla pubertà), il poeta tiene fisso uno
sguardo sul Monviso, consapevole della sua «parte superiore […] invisibile» e
l’altro sul mondo che lo circonda di cui coglie aspetti e situazioni negative,
ad iniziare dall’incapacità di ascoltare e di dialogare seriamente, mentre la
montagna ha tante voci, tanti linguaggi (Sali
a te stessa). Nel mondo, invece,
ci sono muri, visibili e invisibili, che solo la poesia può combattere
«poetando quasi senza interruzione» (Alzare
muri).
Il poeta ha un occhio particolare che gli permette
di vedere La verità vera, per poter osservare, senza essere visto,
l’«africano» che «Ha issato sul balconetto un padellone TV / ed ora può vedere
il mondo e con meraviglia / a colori il cosmo dove immagina / la sua famiglia
massacrata / trasvolare lungo una flottiglia di stelle» (A colori il cosmo). Amara constatazione della vicenda di un
emigrante che si compiace della sua nuova situazione, a differenza di tanti
altri Emigranti che «vorrebbero anch’essi avere le ali» come i
gabbiani a cui «ne staccano / alcune […]. Ma sono troppo piccole per potersene
servire», per cui «non se ne possono andare», ma devono rimanere sotto lo
sguardo di quei borghesi che «sorridono dal lungomare dorato», mentre «altri
esprimono riprovazione». In questo mondo degli immigrati, fatto di dolore e di
speranza, guardato dal poeta con umana pietà, c’è anche «l’eritrea di efebica
bellezza» a cui, quando «Colpita da un retrovisore / sta per rovinare a terra»
(Sopra) «due ali spiccano» che le consentono di volare «sopra
le macchine stesse». All’indifferenza nei confronti degli immigrati si aggiunge
quella per i molti nel nostro paese colpiti dal recente susseguirsi di eventi
sismici, ma, a questo proposito, l’attenzione del poeta, con venature
virgiliane, va a chi soffre, dimenticato più degli uomini, cioè agli animali,
come Le pecore che «Hanno di lana dovuto alimentarsi, /
strappandola coi denti una all’altra, / pur di non sbranarsi». E il dolore
accomuna tante altre persone, come le donne violentate e stuprate, ma
«Straziate / ancor più da compagni narcisi, che pretendono invece che amore
servigi, / secondo l’usa-e-getta del tempo» (Rosetta). Accanto a loro, gli uomini disperati per la perdita
del lavoro (Calurafa), tanto che a dominare sembra essere sempre più
l’ingiustizia sociale (Scenari) che crea la violenza e rende insicura la nostra
incolumità (Lo
spandicicche). Ironica e
fantasiosa la descrizione di una delle più diffuse acquisizioni dell’ingegneria
bio-medica, La risonanza magnetica in cui la sensazione di
essere «riposto in un loculo» si trasforma in quella di diventare «un
proiettile spaziale», capace di sorvolare il Monviso da dove il poeta vede il
suo «alter ego» «arrampicare sulla pietraia»: è un’esperienza surreale tra
perdita e recupero della propria corporeità, ma soprattutto un’osservazione
ironica e disincantata di una pratica diagnostica diventata ormai consuetudine nella
quotidianità…
Ci
rendiamo così conto che il poeta Mariano guarda veramente il mondo da quella
metà invisibile dell’ipotetica clessidra del Monviso («il suo rovescio» del
titolo) da cui molte cose della terra rivelano tutta la loro problematicità, ma
anche la loro inadeguatezza e incongruenza, fino a sfiorare l’assurdo…
A
dominare è pur sempre l’incomprensibile, perché l’unica verità a cui si può
approdare è un ossimoro: «la favola / d’un infinito circoscritto», indagata
dagli scienziati i quali, però, non sono ancora arrivati oltre quel «residuo
palatale» della «voce di Dio / quando ha creato l’universo» «che gli
astrofisici chiamano / onda gravitazionale» (La voce di Dio).
Tutto
questo ci dice Beppe Mariano in questo suo ultimo libro in un linguaggio
poetico fatto di impuntature dissonanti e di efficaci creazioni linguistiche, da
«lucciolando» a «s’ammoscano» a «spandicicche» a «spetalato», di recuperi
dialettali («Ala mala cirimela»), di neologismi, come «specista» e «trumpismo»,
di forzature lessicali, come «tremota», «infosca», «inquinatori», «strabicare»,
«svinazza». Un poeta che sa abilmente piegare il lessico alle sue necessità di
efficacia espressiva, con pregnanza e rispondenza, è un autore che conferma la validità
contenutistica e formale della sua poesia.
BEPPE
MARIANO, Il Monviso e il suo rovescio, Milano, Mursia 2019, pp. 75, €
15,00.
Il Monviso e la Sacra di San Michele |
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