mercoledì 9 ottobre 2019

LA POESIA DI MARIASOFIA ALLEVA




Mariasofia Alleva


UNA VOCE ORIGINALE NELLA POESIA
Roberto Trovato
Nata a Cuggiono, in provincia di Milano, il primo luglio 1990, ma cresciuta tra Roma e Todi, la Alleva è un’artista poliedrica. In effetti è impegnata con esiti ragguardevoli in tre settori, poesia, danza e teatro. La giovane di cui mi occupo sul blog del Gatto certosino, una delle realtà culturalmente più vitali del capoluogo ligure, grazie all’impegno, alla passione e alla competenza di Rosa Elisa Giangoia, si è diplomata nel 2013 come attrice all'Accademia d'Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano.  Con il gruppo Pleiadi, in cui è entrata presto, ha partecipato nel 2018 ad un suggestivo spettacolo di teatro danza, Viajo solo, il cui debutto è avvenuto al MUDEC di Milano in occasione di una mostra dedicata a Frida Khalo. La grande pittrice messicana, a cui è intitolata una delle poesie più intense e penetranti della poetessa, la undicesima qui pubblicata, è una donna alla ricerca del suo posto nel mondo. A tale fine intraprende un viaggio di scoperta personale. Lo stesso itinerario è quello compiuto dalla Alleva, autrice e performer segnalata all’unanimità come meritevole del secondo premio alla ottava edizione di ActorsFestival, Va detto che le liriche edite non fanno parte di una specifica silloge. Per un verso questi testi testimoniano il fitto intreccio di componimenti che l’hanno ispirata, e per l’altro la ricchezza dei suoi interessi.  La Alleva lavora con sapienza su una tastiera sonora suggestiva confermando quanto Ceronetti annotava nel risvolto di copertina di un volume uscito nel 1990, Nostalgia dell’acqua, di Gabriello Leto: «il verso è costruzione, architettura sonora, musica, se non è questo non esiste; rumore e macerie non fanno poesia».
Con rigore e coerenza la Alleva non solo attesta un’assidua frequentazione della poesia, ma insieme rivela sentimenti di umana pietà, del tutto scevra da toni falsi come comprova la decima poesia di 42 versi intitolata Genova in cui alcuni spazi del capoluogo ligure, via del Fico e della Maddalena,
vengono descritti con disincanto e profondità, come evidenziano i quindici “sei,” seconda persona singolare del presente indicativo del verbo essere, per dire cosa è per lei Genova.  Oltre a restituire con efficacia gli odori, i colori e le luci di alcune strade, sotto lo sguardo attento della poetessa scorrono persone di diversa professione, razza e cultura: puttane, verdurieri, bambini, signori agiati, cassiere robuste, parrucchiere, vecchiette con cani al guinzaglio, suonatori, cuochi, barboni,  transessuali, uomini di pelle scura, cinesi, e oggetti come lenzuola maleodoranti, asciugamani, canottiere e sigarette, senza dimenticare altri aspetti che rendono Genova fascinosa. Sostenuti dai modelli letterari che poco oltre richiamerò, nei confronti dei quali è marcata l’affinità e la consonanza, questi componimenti, sono a mio parere apprezzabili per la linearità della struttura, la limpidezza dello stile, il nitore ritmico e la forte tensione lirica che li caratterizzano. In effetti i suoi sono componimenti che rivelano una donna dalle vaste letture. Alla richiesta di indicarmi i suoi autori di riferimento mi ha risposto lapidariamente:

Spazio davvero molto. Intraprendo tuffi nelle poesie d'amore, da Prévert a Neruda, dalla parola più affilata di Alda Merini a quella più ironica, tagliente e illuminante di Wislawa Szymborska. Leggo volentieri Bukowski, quando ho voglia di perdermi nell'umanità più terrena e da sempre mi lascio guidare umanamente e spiritualmente dalle parole di una poetessa e per me maestra Mariangela Gualtieri”[1]. Quest’ultima poetessa, rimarca opportunamente la Alleva, “innalza gli animi, compatisce i fragili e ricorda ai feriti che il cielo e la terra sono i punti più alti, che accolgono sempre.

    Poco dopo ha aggiunto:

Anche nei romanzi amo scritture più delicate, che per quanto conturbanti lasciano spazio ad un immaginario più sospeso, come mi accade con i libri di Haruki Murakami. Oppure gradisco scritture molto terrene, piene d' umano sentire come i romanzi dell’attrice Margaret Mazzantini. 

 Le dodici poesie per complessivi 220 versi, scelte dall’autrice in occasione di questa pubblicazione, pur non avendo alcun rapporto con la cronologia della sua operosità, sono rappresentative di un originale e diversificato percorso artistico. Un’unica poesia, la già citata Genova, la decima di questa autrice segnalata unanimemente da una giuria di valore come meritevole del secondo premio alla ottava edizione di ActorsFestival, fa parte di una silloge a cui sta attendendo da qualche tempo dal titolo I luoghi altrove. Alle mie città. Ai nomi fatti poco sopra dall’autrice mi pare ne debbano essere aggiunti almeno altri: Amelia Rosselli, figlia Carlo, per l’empito amoroso che costituisce la zona espressiva più viva dei suoi versi, e Dino Campana per il simbolismo visionario che ne improntano gli scritti. Il riferimento a quest’ultima voce, la cui “influenza sui giovani fu incalcolabile e s’è tutt’altro che spenta”, come annotava Emilio Cecchi nel gennaio-marzo 1952 su “L’Approdo”, viene comprovato proprio dalla poesia sopra ricordata.
Nelle liriche della Alleva che sono fuori da ogni retorica viene espressa la verità con una parola schietta tesa a rimarcare gli orizzonti di una fervida attività che risente anche dell’ispirazione legata anche ad altre culture. A comprovarlo sono i dodici versi della seconda poesia, Gohonzon, nome ripreso da un mandala scritto su una pergamena redatta in caratteri cinesi e sanscriti con la funzione di aiutare ogni singolo essere vivente a realizzare l’autentica entità di tutti i fenomeni attraverso la legge mistica. Questa parola non simboleggia alcuna divinità, in quanto è la vita stessa del Buddha originale.
   La Alleva offre una profonda meditazione sulla vita. Alla richiesta su quale sia la sua poetica, riportando i primi sei versi della nona lirica, intitolata La poesia mia, ha scritto: «La poesia mia// è cosa mia//nasce da dentro//da sotto//da dentro le costole//da sotto le branchie».
Di grande interesse sono pure i versi conclusivi della lirica che ribadiscono che la sua poesia  «non mira ai grandi spazi// ma ai piccoli antri // che si creano dentro// quando il resto tace// e qualcuno, per caso, ascolta».

  In asciutti e sobri versi la poetessa dichiara le ragioni del suo scrivere. Non a caso tiene a precisare:

È un flusso interiore, sono ondate di parole che giungono da lontano. La realtà in me si ricompone in parole, in versi, in frammenti.  Mi sento spettatrice attraversata; il mondo mi fluisce addosso, dentro, si incastra a tratti, è come se si rintanasse in alcune zone di me e se ne stesse lì per un po’.  Poi, viene rigenerato, sintetizzato forse, sotto forma di ritmo verbale. Il vissuto sentito viene condensato. Si auto-ricrea sotto forma di andatura parlata. Io penso il parlato, scrivo perché venga detto, scolpito in voce. Raccontato, esposto, condiviso. Donato. La vita trova un ordine in me, dandosi ritmo, pause e respiri. Va a capo. Si ferma. Rallenta. O finisce. E poi ricomincia.

I pochi prelievi sinora fatti e altri della sua raccolta attestano che Mariasofia Alleva è attenta ad evitare di cadere nelle trappole di metereologismo, in cui cadono talvolta i poeti dilettanti. Intensi sono ad esempio nel primo componimento intitolato Ad altissimo sentire, Sinfonia, i richiami all’acqua del ruscello che scorre, al volo leggero delle api e delle farfalle, al vento e alle stelle del cielo. La sincerità della sua ispirazione è constatabile in versi come quelli della prima poesia sopra ricordata in cui parla di sé stessa, insistendo nella parte iniziale sul verbo “fammi” e che nei versi successivi punta sulla urgenza di alzarsi verso l’alto forse nel tentativo di allontanarsi da una realtà deludente.
Lodevole è la sobrietà e chiarezza con cui questa originale voce poetica restituisce le suggestioni di esperienze personali da lei vissute. Nei suoi versi si coglie un po’ della cupa amarezza (a tratti ironicamente sorridente) di chi si è rifatto alle sue letture per dire come dia sgomento questa nostra esistenza che talvolta sembra segnata dall’assurdo. Esemplari sono a tale proposito i cinque versi del quarto e del sesto testo, gli unici senza titolo, con un evidente richiamo alla poetessa statunitense Emily Dickinson. Altre volte la Alleva manifesta l’urgenza di ricostruire assieme alla persona che le sta accanto una diversa realtà. 
 È una vita sul baratro quella che ci prospettano alcuni versi della quinta lirica, Tornare. Nella settima invece, dal titolo Il viaggio l’autrice rende con una energia incantatrice l’attesa di “meraviglie”. I versi della Alleva non sono mai ingenui e di maniera, perché la giovane poetessa ha una profonda serietà nel suo personale approccio all’esistenza. Inoltre nelle liriche è evidente la volontà di sfuggire al rischio del mero compiacimento per i colori e i profumi di un altrove forse più fantasticato che intimamente vissuto. La Alleva evidenzia la necessità di avvicinarsi alla realtà, evitando di precipitare sulle rive solitarie di troppo inquieti pensieri. Altri versi si segnalano per la maniera icastica con cui rende la gioia di un rapporto a due in grado di sconfiggere ogni grado di negatività, come dimostra la terza poesia, Dialogo interno. Aggiungo poi che nella silloge la Alleva rivela una spiccata capacità di osservare, stupendosi ogni volta e rendendo bene la voce del vento, del mare, degli alberi, degli esseri viventi, percependo con sobrietà ed eleganza la bellezza della natura. E ancora la poetessa rivela il bisogno di vivere appieno la vita con una gioia venata a tratti di malinconia. In molti versi è marcata anche l’esigenza di vivere nella sua interezza l’esistenza. Donna colta ed appassionata lettrice di poesia, la Alleva avverte con coerenza e determinazione l’urgenza di raggiungere un altrove più vivibile.
I versi della Alleva, donna inserita nella realtà di oggi, rappresentano una risposta istintiva alle rivolte di autori quali Baudelaire, Poe e Wilde. Pur con una diversa sensibilità e formazione, l’au- trice affronta il problema originato sul finire dell’Ottocento dalla protesta straziata di Baudelaire, Poe e Wilde, vale a dire quello della mercificazione della vita e quindi anche dell'arte. Questi ed altri autori vissuti tra Ottocento e Novecento, da Pound, a Céline, da Beckett a Carmelo Bene, hanno mostrato attraverso la loro arte che ciò non è possibile. La Alleva per contro nutre una fiducia ragionata sulle possibilità di un prossimo riscatto dalla mortificante realtà. Colpisce nella sua scrittura la capacità nel rapportarsi agli altri, vivendo gli affetti con discrezione ma nel contempo con sincerità e forza. Al pari di altre voci femminili l’itinerario poetico della Alleva, pur non rinunciando mai a misurarsi con le difficoltà della vita, rivelano la indubbia capacità di commuoversi senza sdolcinature e patetismi, lasciando trasparire la speranza in un futuro diverso. Del resto i suoi componimenti non indulgono mai a facili soluzioni consolatorie. Nell’avviarmi alla conclusione di queste sintetiche notazioni osservo che il suo vocabolario è riferibile allo sguardo, prospettando al lettore un nuovo modo di vedere, osservare e guardare il mondo con occhi rapiti ma insieme disincantati, intrecciando con sapienza elementi realistici, onirici e soprannaturali. La silloge che qui viene proposta è percorsa e innervata da alcune parole chiave ricorrenti: viaggio città, scorrere dell’acqua, volo, mondo degli animali e Africa di cui parla nella poesia finale, Viaggio in Africa. In quei versi la poetessa evoca tre animali simbolo di quel continente: l’elefante, la giraffa e il leone dormiente, nonché i colori, le luci di quegli spazi e “il profumo di grandi fiori esotici”. Con sobrietà, misura e discrezione, senza alcun cedimento a forme di sentimentalismo rugiadoso, la Alleva osserva il mondo con mestizia ma insieme con cordialità ed ironia. Tale atteggiamento le fa cogliere in maniera semplice ma efficace l’inconciliabilità fra ciò che si fa e i risultati del nostro opinabile operare. Di qui la restituzione, in versi di grande recitabilità, di un senso al controsenso dell’esistenza che caratterizza alcuni suoi testi a cavallo tra erotismo e misticismo, con qualche traccia di panteismo.



[1] .  La Gualtieri è la fondatrice con Cesare Ronconi del Teatro Valdoca nel 1983.  Verso di lei in qualità di interprete la Alleva nutre una profonda simpatia. A parere di  una saggista,P atrizia Sambuco,  la Gualtieri nelle sue opere,  poetiche e teatrali, non di rado accentua l'aspetto della "inadeguatezza della parola" (Corporeal Bonds: The Daughter-Mother Relationship in Twentieth-Century Italian Women's Writing, University of Toronto Press, 2012).

1) Ad altissimo sentire 

Sinfonia

Fammi ruscello
Sentiero
E folata
Fammi battito d'ali
Alzata di spalle
Girata. 
Fammi costanza di api
Leggiadria di farfalla
Pazienza di bruco
Fammi zoccolo duro
Lentezza apparente
Sinuosità.
Rendimi degna
del mondo animale. 

Insegnami a scorrere
Come acqua perenne
Come vento che sfiora e trascina
Non teme
Come sangue in vena.

Alzami
Come stelle
E niente può il giorno.

Si piantano in cielo
Per nessuno lo fanno
o per quelli sofferti
dal troppo pensare.

Alzano gli occhi
e trovano in loro
più alto rifugio.

Insegnami a sciogliere
intoppi annodati.

Disintegra grumi
fluisci parole
fai scorrere il sesso
e rendimi invasa
poi fammi donare. 

Insegna la strada per tornare me


Ritrova la casa
Il posto sicuro
Di alberi e frutti
Di monti e parole
Suoni e carezze

Riportami lì
al posto del dolce
del lento
e sottile
al posto più vero
a ciò che non va
ma riempie e rimane.


Tratteggia i confini
per nuova persona.


2) Gohonzon
 
Connettimi al centro
Al punto di fuoco
Invadi con luce
Acceca le parti
Fai vivo il sentire.
Io cedo
Son tua
Son verso di te
In aperto cammino
Precipito in te.


3) Dialogo interno

Amico
E maestro
Dalla grande falcata
In tua apertura massima
Disciogli ghiacciai
Dai alito ai fiori
Sei il ventre più caldo
L'estate
di vita più vera.
In tua chiusura momentanea
In tuo essere schegge
E frammenti
In tuo spezzettamento
Scricchioli
Oggi
Rifiuti
Io temo
Il passo distorto
l’oscuro passato.
Pretendi
Dall'oggi
La resa più grande.



4)

Chissà se senza saperlo
Io sto spappolando la mia vita
Mandandola in frantumi
Come questo sugo rosso
Con pezzi di melanzane


5) Tornare

Guarda
Come vado a sistemare
tutti i miei pezzi
Guardami
Come ricucio e sudo
Come ricompongo
Contro vento
Ogni parte di me.
Guardami
Mentre schivo il baratro e gli sorrido.
Guardami ancora
Mentre mi faccio strada
E mi spoglio di tutto.


6)

Come risalgono
Le tentazioni
In troppo poco dire.
Le ombre tue
Non sono che le mie.
Il mio specchio sei.
Per meglio
Ricostruire.


7) Il viaggio

In te
Mi sposto
Navigo
Attendo
Meraviglie.


8) Passione mia

Precipitare
Voglio
In quell’andare
Denso
In quell’aria
Di fumo
E sospensioni
In quel tempo
Di musiche perfette
Pause
E cuore.
Essere invasa
Chiedo
Da bolle
Nello stomaco
Da strette al volante
Dal tuo profumo
Dentro di me.
Deviata
Sono.

Lasciatemi cadere.


9) La poesia mia

LA POESIA MIA
È COSA MIA
NASCE DA DENTRO
DA SOTTO
DA DENTRO LE COSTOLE
DA SOTTO LE BRANCHIE
È MARINA
PRINCIPALMENTE NOTTURNA
È COSA MIA
NON MIRA AI GRANDI SPAZI
MA AI PICCOLI ANTRI
CHE SI CREANO DENTRO
QUANDO IL RESTO TACE
E QUALCUNO, PER CASO, ASCOLTA.
 



I luoghi altrove
Alle mie città

10) Genova

Genova
Sei
odore di piscio 
lenzuola
Asciugamani
Puttane
E verdurieri
Sei pelli scure
Cinesi
Passanti
Borbottii costanti
Sei bambini
Signori agiati
Cassiere in carne e parrucchiere
Sei vecchiette e cani 
Barboni e suonatori 
Canottiere e sigarette 
Sei il calcetto dei neri 
Sei tatuaggi e cuochi 
Sei un donna a gambe larghe 
Che forse poi ti dice no 
Sei sedute e scale 
Mattonelle, marmo, affreschi e sale
Sei agitata e calma, pelle e nudità 
Sei sola 
Cavalla di gusto e orgogliosa
Sei via del fico 
E della maddalena
Sei zozza
Sporca
Lo sporco che piace
Che eccita
Lo sporco che è in noi
Sei femmina
Maschio
Trans
Sei grandi enormi navi
E noi che restiamo
Sei il moderno che passa
E noi che non ci stacchiamo
Che guardiamo lontano
La poesia che viene e va
 



11) A Frida

Ho una giungla dentro
Grandi rampicanti divaricano il mio petto
Generosi e possenti tronchi emergono
si fanno poi
filamenti di pianta
crescono
si assottigliano
e infine
giungono al verde.

Son fiori
I figli suoi.

Fanno me stessa
La madre pianta di me.


12) Viaggio in Africa

Mi andrebbe di stare a contatto
Coi grandi animali della terra
Sentire docile il peso calmo di un elefante
Osservare una giraffa
Carezzare con gli occhi un leone dormiente.

Grandi spazi vedo
Di colori e luci nuove, fluorescenti, vivaci, vitali.

Vorrei lasciarmi andare ad un’acqua chiara e bassa
Ad una sabbia sottile, tra le dita dei piedi
Al profumo di grandi fiori esotici

Non so perché, io non sono qui, costruisco rifugi
Aperti e ampi, un inno al bellissimo
Al solo candido e puro.
Lancio laggiù 
I sogni più belli 

Perché sopravvivano al meraviglioso mare mosso. 

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