venerdì 17 aprile 2020

RECENSIONE


Luigi Picchi


Chi segue il lavoro di Giuseppe Conte (Imperia, 1945) sa che la narrativa costituisce una dimensione importante e decisiva di questo scrittore e poeta, capace di far duettare con grande maestria la vena fabulatrice con l’anima lirica e innica. Diversi sono i romanzi di Conte, ambientati alcuni nel passato altri ai nostri giorni, ma tutti espressione della sua vocazione cosmopolitica e vitalistica. Una costante della sua produzione tanto lirica quanto narrativa è infatti l’amore per il viaggio come ricerca, indissolubilmente intrecciato all’amore per l’amore, per l’eros, per l’avventura e infine per la Bellezza di cui il verbo poetico è garanzia. Anche in questo recente romanzo, I senza Cuore, lo scrittore ligure non fa mancare al lettore un avvincente e intrigante cocktail di avventura, di mistero e di passione, tra storia autentica e un pizzico di fantasia, ma sempre nel rispetto della verosimiglianza. Accennerò solo a qualche ingrediente della trama per non togliere il piacere della lettura ricca di suspence e di sorprese: siamo all’inizio del XII secolo e la Grifona, nave genovese salpata dal porto della sua città con quasi duecento membri d’equipaggio, al comando di Guglielmo Embriaco detto il Malo, punta audace oltre le Colonne d’Ercole verso il tempestoso Atlantico e la nebbiosa Cornovaglia bretone, alla ricerca di una sorta di Santo Graal, il Sacro Catino, un vaso di smeraldo utilizzato durante l’Ultima Cena. Una serie di efferati omicidi che costringono il comandante a improvvisarsi detective ci riportano all’atmosfera di un thriller tipo Il Nome della Rosa dove questioni religiose e filosofiche si intrecciano al dramma della sopravvivenza in un ambiente umano e naturale ostile e spietato. Non mancano scene potenti come l’incontro con una drakkar vichingo o con una gigantesca medusa, un’infestazione di topi, tutti eventi che vengono riletti dalla vivida e superstiziosa immaginazione medievale, generosa fonte ispiratrice di complesse e intense leggende. Morte e violenza aleggiano sull’equipaggio della nave genovese suscitando angosciosi interrogativi etici. Penso che leggere questa storia anche con un occhio alla contemporaneità non sia male visto che la Genova mercantile delle Crociate era dominata come l’odierna società dal demone avido del possesso e dall’hybris economica e tormentata, almeno per gli animi più sensibili e onesti con se stessi, dall’ossessione della verità. Il mare, «indifferente alla sorte degli uomini» è il grande teatro di questa tragedia, dove, però, alla fine c’è spazio anche per la tenerezza dell’amore. Ma come bene cantava Thomas d’Inghilterra nel suo Tristano e Isotta «Il male non viene dal mare / ma dall’amore viene il dolore». 


Giuseppe Conte, I Senza Cuore, Scrittori Giunti 2019, pp. 418, € 19,00.



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