Maria Cristina Castellani
Il romanzo FEBE di Rosa Elisa Giangoia (Europa Edizioni, Roma 2018) rappresenta
una tappa importante e particolarmente significativa nel percorso letterario dell’Autrice.
Rosa Elisa Giangoia è una voce importante nell’ambito della produzione e della
critica letterarie, non nuova, quindi, alla scrittura di romanzi. Ma, in questa
sua recentissima opera, originale e profonda, riscontriamo una particolare
completezza e una organicità di trattazione di un tema profondamente attuale,
nonostante la storia si sviluppi più di duemila anni fà. Si tratta di una
costruzione sapiente, che riteniamo non possa passare inosservata.
Febe, la
protagonista del romanzo, è una donna greca, che vive nel mondo pagano, dopo la
morte di Gesù, in quel periodo storico, sovente avvertito come una zona
d’ombra, quando ancora vivevano i testimoni diretti della vita umana del Cristo
e i primi trasmettitori della buona novella, che portavano il Suo messaggio da
un luogo all’altro…
Nel tempo di
Febe, per i non ebrei, i costumi, la morale, il modo stesso di rapportarsi con
la vita umana, erano riferiti a una società in cui mancava un’etica religiosa,
tale da avere influenza diretta sul modo di vivere privato e sociale. Nel mondo
ebraico, al contrario, regole e precetti erano spesso vissuti in modo opposto,
e, in qualche caso, eccessivamente formale, come ci testimoniano anche le
critiche mosse da Gesù ai Farisei. Ma Paolo di Tarso, il futuro san Paolo, che aveva perseguitato i cristiani, sino all’incontro
con Gesù, dopo la Sua morte, come si racconta nel famoso episodio del “Cur me
persequeris?”, è l’attore che spingerà Febe alla conversione. Ma questa avviene
non in modo improvviso e fulminante, sulla cosiddetta via di Damasco. Rosa Elisa Giangoia, con sapiente e partecipe
attenzione, segue la conversione di Febe, donna colta e gentile, nello sviluppo
del passaggio dai dubbi alla piena accettazione di Dio, grazie alle parole di
San Paolo, ebreo ellenizzato e civis
romanus, coevo di Gesù.
Possiamo
seguire la protagonista nel suo viaggio a Roma, latrice della lettera di Paolo
ai Romani. La osserviamo, paziente e diligente, anche nel suo percorso di
apprendimento della lingua latina, alla scuola del maestro Lido, da cui impara
a conoscere Aristotele, in una Roma, città interculturale, vastissima, ricca di
stimoli, giunta all’apice della sua potenza, ma con in sé già i germi della sua futura decadenza. La
precisione di Rosa Elisa Giangoia, che è stata insegnante liceale di Lettere
Classiche, profonda conoscitrice del mondo classico, fa sì che ogni dettaglio
antropologico sia descritto in modo documentato e storicamente ineccepibile, dalle vesti, ai cibi, dalle
case, alle lingue parlate nel I secolo dopo Cristo. Un percorso, che non è solo
interessante dal punto di vista storico, ma anche culturale, intendendo,
appunto la parola cultura nel suo
significato antropologico, includendo
quindi, a titolo di esempio, i cibi gustati da Febe, i prodotti alimentari
commerciati dal figlio, il tipo di imbarcazione con il quale i protagonisti
raggiungono Roma, la scuola del maestro Lido, la modalità e i materiali per la
scrittura e la “manutenzione e conservazione” dei prodotti della scrittura.
La profonda
conoscenza del mondo greco e romano della professoressa Giangoia si evidenzia
anche in frequenti citazioni di miti e leggende, non ultima, proprio perché
Febe è vedova, ancora strettamente ed intimamente legata alla memoria
dell’amatissimo marito, la citazione del dolcissimo amore di Filemone e Bauci e
della loro metamorfosi in alberi, dopo la morte, che consentirà ai due defunti
un eterno abbraccio. Questo mito traduce infatti, teneramente, il senso di
appartenenza, oltre la morte, di due amanti anziani, in un rapporto di
strettissima e reciproca donazione, sino alla morte. Mi sono soffermata sulla
storia di Filemone e Bauci, non solo perché, dall’epoca del liceo, li ho sempre
amati, in quanto testimoni di una storia d’amore eterna, come lo è questo
sentimento, ma perché, ritengo che la vicenda rappresenti il tentativo del
mondo pagano di costruire una storia di sopravvivenza oltre la morte. La
risposta alla domanda sul passaggio dal tempo all’eterno, come recita appunto
il sottotitolo di questo bel romanzo. Anche il mito di Persefone, raccontato da
Rosa Elisa Giangoia, in un altro passaggio del libro, rispondeva al bisogno
esistenziale di garantirsi una memoria perenne nel rapporto fra il reale e
l’oscuro. E la riflessione su Aristotele evidenzia un’accurata ricostruzione
della qualità del pensiero greco, prima del cristianesimo, spesso sulla stessa
strada che verrà ripresa dai pensatori cristiani.
Ma saranno
molti, nel bel romanzo che stiamo recensendo, i passi che vi commuoveranno e vi
faranno riflettere, dalle testimonianze, raccontate e poi tramandate, da chi aveva
conosciuto Gesù, al nascere della fede nei cuori scettici. In particolare, cito
la frase con cui l’Autrice descrive la prima conversione della protagonista e
la sua pace ritrovata, grazie alle parole di san Paolo: “Febe avvertì subito
che quelle parole riscaldavano il suo cuore con un soffio di conforto e di
consolazione che lo raggiungeva all’improvviso e lo avvolgeva completamente con
una sconosciuta sensazione di beatitudine”.
Un bel
romando, quindi, interessante, documentato, avvincente, che vi farà meditare e
vi lascerà un messaggio umano e spirituale, oltre che culturale, da conservare
nella memoria e nel cuore.
(in "il Foglio", n. 1/2019, p. /9
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