mercoledì 4 marzo 2020

RECENSIONE



Luigi Picchi


Una promessa mantenuta, questa raccolta del poeta ligure, un’ulteriore testimonianza di fedeltà, una fedeltà tutta lirica che risale al Montale di Ossi di seppia o al Poema del mare di Ettore Cozzani: «Non finirò di scrivere sul mare. / Non finirò di cantare / quello che c’è in lui di estatico / quello che c’è in lui di abissale / la sua vanità disumana / senza pesantezza, senza un vero confine / la sua aridità senza sete / senza spine / le sue forme in perenne mutamento / sottomesse alle nuvole, al vento / e al cammino in cielo della luna». L’intera silloge infatti è incentrata sul mare, cantato come un interlocutore quasi divino: «Tu mare non hai chiese / non hai sacerdoti, sacramenti, / non hai preghiere, monumenti / né riti né elemosine, / e non hai avuto pietà. / Eppure sei sacro, divino». Anche fino alla preghiera: «Mare su cui si affacciano gli ulivi / tra rocce ripide e riflessi del sole / mare che hai udito le parole di Omero e di Odisseo / mare che canti come le cicale / che ho attraversato quando ero bambino / tra scilla e Cariddi, sotto stelle di sale / mare che vide Goethe quel mattino / tutto d’oro come alberi di limone. / Oggi sei il mare dei morti, la prigione / dei tanti annegati tra i migranti. / Rinasci, Mediterraneo, con i tuoi canti / incolpevoli, unisci, non separare / ricorda agli uomini d’Europa la tua legge: / essere mutevole, alzare le vele, amare». Un mare, quello di Conte, emblema di tutta la vita, la vitalità, ma anche mortale, distruttivo e sterile, vera Coincidentia oppositorum. Ma quello che mi ha commosso è l’ammissione da parte del poeta della propria fragilità umana, una confessione quasi sbarbariana: «Sono più solo di tutti, mare, persino di te. / […] / io un fragile figlio di donna / una medusa spiaggiata, un ramo sfiorito». Proprio questa miscela di entusiasmo vitalistico e pervadente malinconia esistenziale, trovo sia in un certo senso la cifra di questo libro maestoso e dolente, epifanico ed elegiaco, sintesi matura del credo e della poetica del Nostro. Queste poesie, unite tra loro da un fil rouge poematico eminentemente mitomodernista, ci portano in altre epoche da Omero a Byron e ci fanno viaggiare dalla California all’India, dalla Liguria all’Atlantico, eppure l’alfa e l’omega di tutta questa avventura spaziotemporale è sempre il presente e la Riviera. L’afflato, ora whitmaniano ora dannunziano ora luziano ora alla Lawrence, non impedisce al poeta di cogliere alcuni aspetti squallidi e tragici della contemporaneità, indimenticabili: la desolazione di un vecchio abbandonato e solo, la spocchia di alcuni avventori modaioli di un bar, l’ebetudine catatonica di un adolescente chiuso al mondo con i suoi auricolari, il dramma e la disperazione dei migranti in balia di pericolose e letali traversate. Come non mancano neppure gli affetti e le memorie familiari: la madre o il nonno o il figlio mai avuto. C’è poi una poesia particolarmente originale, Odisseo internauta, dove il poeta coglie la novità inumana e alienante della Rete, spesso trappola diabolica per l’anima assuefatta con le sue navigazioni compulsive e droganti: «Ora il mio mare è questo. Non lo solco / più con la mia galea dall’alta velatura / né sulla zattera impazzita alla deriva. / Non ho di fronte nessuna isola sicura. / Non c’è all’orizzonte anima viva. / È un mare senza onde, senza sponde / non soffiano il meltemi né il maestrale / non vedo in superficie delfini che saltano / né meduse e coralli sul fondale. / È un mare così, piatto, frontale / su uno schermo che si accende, irretito / da immagini che appaiono e scompaiono /basta la punta leggera del mio dito. […] Non mi aspettano né la Troade né la Colchide. / Né Elena, né Achille né il Vello d’Oro. / Tutto è presente, uguale, effimero. / […] Io sono qui, seduto, solo, irretito, / irreale. Non ancora morto né più vivo. /Sono l’internauta.». Giuseppe Conte è il poeta che ha la capacità di trasformare nel centro del mondo la sala d’attesa di un aeroporto durante uno scalo o il tavolino del bar dove si ferma a bere un caffè e a scrivere una poesia sul proprio taccuino.

Giuseppe Conte, Non finirò di scrivere sul mare, Mondadori, Milano 2019, pp. 150, € 18,00.



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