Bruno Rombi
Apoteosi del gatto
Apoteosi del gatto
Ho una visione dei gatti del tutto
particolare, risalente agli anni ’70 quando frequentavo lo studio di piazza
della Maddalena a Genova dell’amico pittore Germano Bocchi, il quale amava i
gatti, come tutti gli animali, tanto che spesso ricordava la poesia di Walt
Whitman, Canto di me stesso (Io credo che potrei voltarmi e / andare a vivere
con gli animali, / così placidi e controllati. / Resto a guardarli ore e ore. /
Non si affaticano, non frignano per la loro condizione. / Non stanno svegli al
buio piangendo i loro peccati. / Non mi scocciano con i loro doveri verso Dio.
/ Nessuno è insoddisfatto, nessuno impazzisce per la mania di possedere. /
Nessuno si inginocchia ad un altro, a uno della sua specie vissuto migliaia di
anni fa. / Sopra l’intera terra, nessuno ha onori e compassione.).
Per tornare ai gatti, a parte quelli che circolavano per le stanze dello studio del mio amico pittore, ricordo, con un vago senso di memoria cinematografica, le schiere di gatti di ogni razza e colore che circolavano per i vicoli dei dintorni e che l’amico Germano non mancava quotidianamente di alimentare. A lui devo la lettura di un libro singolare, Sul gatto, cenni fisiologici e morali di Giovanni Riberti, un medico milanese nato nel 1805, dal quale libro ho tratto, nel tempo, spunti diversi di meditazione. Il medico individuava, nel nostro compagno, il simbolo della libertà per la sua indifferenza ad ogni avvenimento pubblico e privato (esso non farebbe un passo fuori della porta per vedere passare Berlusconi o Veltroni, né darebbe la coda di un sorcio per realizzare la Nuova Repubblica di Platone, da tutti auspicata e da nessuno realmente voluta), ama oziare come non sanno fare nemmeno i poeti (così famosi per gli ozi letterari), né i pittori, così noti per la perdita di tempo nell’imbrattare tele e fogli di carta!
Per tornare ai gatti, a parte quelli che circolavano per le stanze dello studio del mio amico pittore, ricordo, con un vago senso di memoria cinematografica, le schiere di gatti di ogni razza e colore che circolavano per i vicoli dei dintorni e che l’amico Germano non mancava quotidianamente di alimentare. A lui devo la lettura di un libro singolare, Sul gatto, cenni fisiologici e morali di Giovanni Riberti, un medico milanese nato nel 1805, dal quale libro ho tratto, nel tempo, spunti diversi di meditazione. Il medico individuava, nel nostro compagno, il simbolo della libertà per la sua indifferenza ad ogni avvenimento pubblico e privato (esso non farebbe un passo fuori della porta per vedere passare Berlusconi o Veltroni, né darebbe la coda di un sorcio per realizzare la Nuova Repubblica di Platone, da tutti auspicata e da nessuno realmente voluta), ama oziare come non sanno fare nemmeno i poeti (così famosi per gli ozi letterari), né i pittori, così noti per la perdita di tempo nell’imbrattare tele e fogli di carta!
Vero padrone della casa dove abita, il gatto se la gode tutta quanta, dallo studio alla dispensa, dalla cantina al tetto, dalla rimessa al fienile, dall’oscuro sottoscala all’aperto giardino, dove s’arrampica sugli alberi, gira tra le viti, passeggia per i muriccioli. Esso va in tutti i luoghi inaccessibili all’uomo: nella piccionaia, sulla grondaia come in cima alla torretta del fumaiolo, sul mezzo mattone d’un muro addentellato, se pure c’è tanto spazio da starci quattro zampe raccolte: e quando lo vedete spingersi, adattarsi, rannicchiarsi in qualche sito incomodo, difficile, pericoloso, e vi nasce il desiderio di sapere perché vada a ficcarsi proprio colà, fate conto che esso ci va per la sola ragione che è padrone d’andarvi, e che dal più al meno vuole godere la sua casa tutta quanta.
Riberti si diverte anche a spiegare come Machiavelli e Taillerand fossero diventati casi celebri soltanto perché avevano acquisito attributi felini, imitando il gatto.
Ma il gatto preistorico com’era?
Gli antenati dei gatti odierni sono comparsi circa 45 milioni di anni fa, durante l’Eocene, e già 35 milioni di anni fa gli antichi gatti presentavano un aspetto e un comportamento non dissimile da quello dei felini odierni.
Sebbene imparentati con la tigre dai denti a sciabola, dalle zanne spaventosamente lunghe, i gatti moderni discendono più direttamente da un altro antenato, un antico gatto selvatico dalle dimensioni maggiori dei nostri felini domestici, ma di taglia inferiore rispetto ai grandi predatori: leoni, tigri, pantere. Questo gatto, dalla lenta ed ampia diffusione in ogni parte del globo, solo l’Australia, il Madagascar, le Indie Occidentali e alcune altre isole, centomila anni fa, quando la tigre dai denti a sciabola era estinta, era organizzato nel genere Felix catus catus, cioè il comune gatto domestico. La sua evoluzione, stando agli studiosi, può essere ricostruita basandosi sul colore del mantello. Per esempio, il manto a chiazze del soriano rosso è apparso per la prima volta in Inghilterra. Per questo lo si ritrova negli Stati Uniti dove s’erano insediati i coloni inglesi, e sono più rari in California e nel sud-ovest e in altre zone dell’America colonizzate dagli Spagnoli, in quanto quel tipo di gatto non era diffuso in Spagna.
I primi gatti sono stati addomesticati in Egitto, nella valle del Nilo, in un periodo compreso tra 8000 e 5000 anni fa. E’ stato il passaggio dalla vita nomade alla formazione di una società agricola di tipo stanziale a convincere gli Egiziani ad addomesticare i gatti selvatici africani, scientificamente Felis sylvestris Libica. I generosi raccolti che il limo favoriva dovevano essere immagazzinati e le riserve di cibo attiravano ogni sorta di roditori, prede ambitissime dai gatti selvatici. Ma addomesticarli non è stato facile, perché i gatti africani sono per natura diffidenti nei confronti delle persone e disdegnano il contatto fisico e le manifestazioni d’affetto. D’altra parte gli antichi Egizi adoravano i gatti tramite il culto della dea Bastet, raffigurata spesso come una donna con la testa di gatta, oppure come un gatto seduto. Era la dea della danza, della musica e, soprattutto, della fertilità e della salute dispensate dal Sole. Tale culto, praticato dal I millennio a.C., fu dichiarato illegale nel 390 d.C. dall’imperatore Teodosio. Esso prevedeva solenni feste in onore della dea. Gli archeologi hanno rinvenuto mummie di gatti dal collo allungato, con le vertebre spezzate, perché essi venivano sacrificati nel corso delle cerimonie in onore della dea. Gli Egizi veneravano i gatti a tal punto da infliggere la massima pena a chiunque li uccidesse: si ricorda il caso di un soldato romano che aveva commesso l’imperdonabile errore di far del male ad un gatto e che fu letteralmente massacrato dagli Egiziani. Se un gatto moriva di morte naturale, tutti gli abitanti della casa dovevano portare il lutto e radersi le sopracciglia: il cadavere dell’animale veniva avvolto in bende di lino e imbalsamato con droghe e spezie. Le persone più facoltose, oltre alle bende con cui fasciavano il cadavere, adagiavano sul muso dell’animale una maschera di cartapesta che ne riproduceva le fattezze con gli orecchi fatti con steli di foglie di palma: Anche le persone più semplici davano sepoltura ai loro gatti. I gatti che prestavano servizio nel tempio erano venerati con tale devozione che, in occasione dei loro funerali, le cerimonie erano così elaborate e costose che, per garantirne lo svolgimento, era necessario imporre tasse speciali. Le prove reperite in una tomba egizia risalente al 1900 a.C. dimostrano che i gatti sono stati addomesticati dagli Egiziani a quell’epoca, ma solo un migliaio d’anni dopo i gatti domestici fecero la loro comparsa nel resto del mondo. Questo ritardo si spiega con la grande venerazione degli Egiziani e il conseguente divieto della loro esportazione.
Furono i Fenici, commercianti senza scrupoli, a contrabbandare gatti fuori dall’Egitto per ricavare lauti guadagni rivendendoli a chi, per vezzo o per esibizione, voleva circondarsi di questi animali esotici.
I gatti domestici fecero quindi la loro apparizione in Grecia intorno al 500 a.C., in India intorno al 300 a.C. e in Cina un secolo dopo, mentre in Europa sono giunti soltanto nei primi secoli successivi alla nascita di Cristo.Incrociandosi con il gatto selvatico europeo, il Felis sylvestris sylvestris, il gatto domestico ha assunto una corporatura più robusta e massiccia, perdendo la snellezza e l’eleganza degli esemplari egiziani. Tale differenza è ancora riscontrabile oggi se si paragonano gatti europei o gatti americani a pelo corto con gatti delle razze africane o asiatiche.
Nel V secolo Erodono, storico di Alicarnasso, nelle sue Storie menziona i gatti che aveva visto per la prima volta in Egitto e da cui era rimasto affascinato. E proprio intorno al 500 viene fatto risalire un bassorilievo greco in cui, per la prima volta, è raffigurato un gatto. Dal canto suo, Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis istoria, in epoca romana, è stato il primo a cimentarsi in una trattazione scientifica sul gatto attraverso una serie di osservazioni sul felino. Sembra che allora parti dell’animale fossero impiegate per preparare medicamenti per curare ferite infette. L’applicazione di un preparato a base di escrementi di gatto, stando a Sesto Placite di Medicina ex animalibus, era considerata miracolosa come rimedio contro la calvizie. Gli antichi, che non erano più stupidi di noi, ma sicuramente più prudenti, hanno cercato di attribuire un senso anche a ciò che spesso sfugge alla nostra logica, rifugiandosi nella simbologia di cui anche noi, oggi, continuiamo a far caso. E quella sul gatto è molto eterogenea e oscilla tra tendenze benefiche e malefiche, forse per il suo atteggiamento dolce ed insieme sornione.
Al di là delle caratteristiche di ogni razza, che vedremo più avanti, la considerazione che l’animale suscita cambia da paese a paese. Vediamo alcuni esempi. Nel Medio Oriente e in Asia i gatti erano oggetto di grande venerazione. Si narra che Maometto amasse talmente questi felini da tagliarsi una manica della veste piuttosto che destare il suo gatto acciambellato su essa. Nel XIII secolo si racconta che un sultano musulmano abbia incaricato i suoi eredi di provvedere al sostentamento dei gatti randagi con la rendita dei suoi frutteti. In Cina, erano ritenuti simbolo di buon augurio e ancor oggi i Cinesi sono convinti che le persone nate nell’Anno del Gatto possiedano doti come la raffinatezza dei modi, l’astuzia e la discrezione, considerate tipicamente feline. Solo nel X secolo i gatti comparvero in Giappone e per centinaia di anni solo i nobili potevano possederne. Chiamati tama (gioielli) godevano di un trattamento onorevole. Furono tenuti al guinzaglio fino al 1602, quando un ordine governativo decretò che fossero lasciati liberi, forse perché i roditori minacciavano l’industria del baco da seta. Secondo la tradizione folKloristica del Giappone portano fortuna. A Tokio è possibile visitare persino un cimitero per gatti di antica istituzione.
Alcuni gatti orientali sono geneticamente diversi, per esempio nella coda con nodo all’estremità. Nel 1868 Charles Darwin ha scritto: “Dovunque nell’arcipelago malese, nel Siam, a Pegu e in Birmania, tutti i gatti presentano una coda tronca lunga circa la metà della lunghezza normale e sovente termina con una sorta di nodo. Poiché anche i gatti dell’isola di Man, in Inghilterra, sono simili, si presuppone che vi siano stati introdotti dai marinai”. Mutazione genetica e leggenda secondo la quale lo scopo di tale nodo era quello di consentire alle principesse di fare il bagno affidando i loro anelli alla coda del gatto!
Nel mondo buddista si rimprovera al gatto di essere stato il solo animale che non s’è commosso alla morte di Budda, tanto che, visto da un’altra angolazione ciò potrebbe essere considerato anche un segno di superiore saggezza. In India troviamo statue di gatti asceti che rappresentano la “beatitudine del mondo animale”; in Cina, è considerato animale benevolo; in Cambogia ancora oggi il gatto in gabbia viene portato di casa in casa nel corso di una processione cantata con l’intento di ottenere la pioggia. Iin queast’occasione ogni abitante del villaggio bagna il gatto, le cui grida, si dice, commuovono Indra, dispensatore dell’acqua fecondatrice. Nella tradizione musulmana il gatto (qatt) è piuttosto favorevole, tranne se è nero. Secondo la leggenda, siccome i ratti disturbavano i passeggeri dell’Arca, Noè passò la mano sulla fronte del leone che starnutì, buttando fuori una coppia di gatti: per questo il gatto assomiglia al leone. Secondo la tradizione musulmana il gatto è dotato di baraka: un gatto perfettamente nero possiede qualità magiche e la sua carne viene mangiata per liberarsi dalla magia; un gatto nero, avvicinato da una donna con le mestruazioni, è capace di fermarle. Inoltre il suo sangue viene usato per scrivere incantesimi potenti perché quest’animale ha sette vite.
In Persia, quando si tormenta un gatto nero, si rischia di avere a che fare, sotto questa apparenza, con il proprio hemzãd (il genio nato insieme all’uomo per fargli compagnia) e di nuocere così a se stessi. Secondo altri, è un jinn malefico che bisogna salutare quando entra di notte in una camera. In molte altre tradizioni il gatto nero è simbolo dell’oscurità e della morte.
Per gli Indiani Pawnee dell’America del Nord, il gatto selvatico è un simbolo di destrezza, di riflessione e di ingegnosità, a loro giudizio “è un furbo ed equilibrato, e riesce sempre nei suoi scopi” e per questo è un animale sacro che non può essere ucciso se non per fini religiosi e secondo certi riti. Nell’Africa Centrale, poiché all’animale si attribuiscono poteri di chiaroveggenza, molti sacchetti per le medicine sono fatti con la pelle di un gatto selvatico.
Gli antenati dei gatti odierni sono comparsi circa 45 milioni di anni fa, durante l’Eocene, e già 35 milioni di anni fa gli antichi gatti presentavano un aspetto e un comportamento non dissimile da quello dei felini odierni.
Sebbene imparentati con la tigre dai denti a sciabola, dalle zanne spaventosamente lunghe, i gatti moderni discendono più direttamente da un altro antenato, un antico gatto selvatico dalle dimensioni maggiori dei nostri felini domestici, ma di taglia inferiore rispetto ai grandi predatori: leoni, tigri, pantere. Questo gatto, dalla lenta ed ampia diffusione in ogni parte del globo, solo l’Australia, il Madagascar, le Indie Occidentali e alcune altre isole, centomila anni fa, quando la tigre dai denti a sciabola era estinta, era organizzato nel genere Felix catus catus, cioè il comune gatto domestico. La sua evoluzione, stando agli studiosi, può essere ricostruita basandosi sul colore del mantello. Per esempio, il manto a chiazze del soriano rosso è apparso per la prima volta in Inghilterra. Per questo lo si ritrova negli Stati Uniti dove s’erano insediati i coloni inglesi, e sono più rari in California e nel sud-ovest e in altre zone dell’America colonizzate dagli Spagnoli, in quanto quel tipo di gatto non era diffuso in Spagna.
I primi gatti sono stati addomesticati in Egitto, nella valle del Nilo, in un periodo compreso tra 8000 e 5000 anni fa. E’ stato il passaggio dalla vita nomade alla formazione di una società agricola di tipo stanziale a convincere gli Egiziani ad addomesticare i gatti selvatici africani, scientificamente Felis sylvestris Libica. I generosi raccolti che il limo favoriva dovevano essere immagazzinati e le riserve di cibo attiravano ogni sorta di roditori, prede ambitissime dai gatti selvatici. Ma addomesticarli non è stato facile, perché i gatti africani sono per natura diffidenti nei confronti delle persone e disdegnano il contatto fisico e le manifestazioni d’affetto. D’altra parte gli antichi Egizi adoravano i gatti tramite il culto della dea Bastet, raffigurata spesso come una donna con la testa di gatta, oppure come un gatto seduto. Era la dea della danza, della musica e, soprattutto, della fertilità e della salute dispensate dal Sole. Tale culto, praticato dal I millennio a.C., fu dichiarato illegale nel 390 d.C. dall’imperatore Teodosio. Esso prevedeva solenni feste in onore della dea. Gli archeologi hanno rinvenuto mummie di gatti dal collo allungato, con le vertebre spezzate, perché essi venivano sacrificati nel corso delle cerimonie in onore della dea. Gli Egizi veneravano i gatti a tal punto da infliggere la massima pena a chiunque li uccidesse: si ricorda il caso di un soldato romano che aveva commesso l’imperdonabile errore di far del male ad un gatto e che fu letteralmente massacrato dagli Egiziani. Se un gatto moriva di morte naturale, tutti gli abitanti della casa dovevano portare il lutto e radersi le sopracciglia: il cadavere dell’animale veniva avvolto in bende di lino e imbalsamato con droghe e spezie. Le persone più facoltose, oltre alle bende con cui fasciavano il cadavere, adagiavano sul muso dell’animale una maschera di cartapesta che ne riproduceva le fattezze con gli orecchi fatti con steli di foglie di palma: Anche le persone più semplici davano sepoltura ai loro gatti. I gatti che prestavano servizio nel tempio erano venerati con tale devozione che, in occasione dei loro funerali, le cerimonie erano così elaborate e costose che, per garantirne lo svolgimento, era necessario imporre tasse speciali. Le prove reperite in una tomba egizia risalente al 1900 a.C. dimostrano che i gatti sono stati addomesticati dagli Egiziani a quell’epoca, ma solo un migliaio d’anni dopo i gatti domestici fecero la loro comparsa nel resto del mondo. Questo ritardo si spiega con la grande venerazione degli Egiziani e il conseguente divieto della loro esportazione.
Furono i Fenici, commercianti senza scrupoli, a contrabbandare gatti fuori dall’Egitto per ricavare lauti guadagni rivendendoli a chi, per vezzo o per esibizione, voleva circondarsi di questi animali esotici.
I gatti domestici fecero quindi la loro apparizione in Grecia intorno al 500 a.C., in India intorno al 300 a.C. e in Cina un secolo dopo, mentre in Europa sono giunti soltanto nei primi secoli successivi alla nascita di Cristo.Incrociandosi con il gatto selvatico europeo, il Felis sylvestris sylvestris, il gatto domestico ha assunto una corporatura più robusta e massiccia, perdendo la snellezza e l’eleganza degli esemplari egiziani. Tale differenza è ancora riscontrabile oggi se si paragonano gatti europei o gatti americani a pelo corto con gatti delle razze africane o asiatiche.
Nel V secolo Erodono, storico di Alicarnasso, nelle sue Storie menziona i gatti che aveva visto per la prima volta in Egitto e da cui era rimasto affascinato. E proprio intorno al 500 viene fatto risalire un bassorilievo greco in cui, per la prima volta, è raffigurato un gatto. Dal canto suo, Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis istoria, in epoca romana, è stato il primo a cimentarsi in una trattazione scientifica sul gatto attraverso una serie di osservazioni sul felino. Sembra che allora parti dell’animale fossero impiegate per preparare medicamenti per curare ferite infette. L’applicazione di un preparato a base di escrementi di gatto, stando a Sesto Placite di Medicina ex animalibus, era considerata miracolosa come rimedio contro la calvizie. Gli antichi, che non erano più stupidi di noi, ma sicuramente più prudenti, hanno cercato di attribuire un senso anche a ciò che spesso sfugge alla nostra logica, rifugiandosi nella simbologia di cui anche noi, oggi, continuiamo a far caso. E quella sul gatto è molto eterogenea e oscilla tra tendenze benefiche e malefiche, forse per il suo atteggiamento dolce ed insieme sornione.
Al di là delle caratteristiche di ogni razza, che vedremo più avanti, la considerazione che l’animale suscita cambia da paese a paese. Vediamo alcuni esempi. Nel Medio Oriente e in Asia i gatti erano oggetto di grande venerazione. Si narra che Maometto amasse talmente questi felini da tagliarsi una manica della veste piuttosto che destare il suo gatto acciambellato su essa. Nel XIII secolo si racconta che un sultano musulmano abbia incaricato i suoi eredi di provvedere al sostentamento dei gatti randagi con la rendita dei suoi frutteti. In Cina, erano ritenuti simbolo di buon augurio e ancor oggi i Cinesi sono convinti che le persone nate nell’Anno del Gatto possiedano doti come la raffinatezza dei modi, l’astuzia e la discrezione, considerate tipicamente feline. Solo nel X secolo i gatti comparvero in Giappone e per centinaia di anni solo i nobili potevano possederne. Chiamati tama (gioielli) godevano di un trattamento onorevole. Furono tenuti al guinzaglio fino al 1602, quando un ordine governativo decretò che fossero lasciati liberi, forse perché i roditori minacciavano l’industria del baco da seta. Secondo la tradizione folKloristica del Giappone portano fortuna. A Tokio è possibile visitare persino un cimitero per gatti di antica istituzione.
Alcuni gatti orientali sono geneticamente diversi, per esempio nella coda con nodo all’estremità. Nel 1868 Charles Darwin ha scritto: “Dovunque nell’arcipelago malese, nel Siam, a Pegu e in Birmania, tutti i gatti presentano una coda tronca lunga circa la metà della lunghezza normale e sovente termina con una sorta di nodo. Poiché anche i gatti dell’isola di Man, in Inghilterra, sono simili, si presuppone che vi siano stati introdotti dai marinai”. Mutazione genetica e leggenda secondo la quale lo scopo di tale nodo era quello di consentire alle principesse di fare il bagno affidando i loro anelli alla coda del gatto!
Nel mondo buddista si rimprovera al gatto di essere stato il solo animale che non s’è commosso alla morte di Budda, tanto che, visto da un’altra angolazione ciò potrebbe essere considerato anche un segno di superiore saggezza. In India troviamo statue di gatti asceti che rappresentano la “beatitudine del mondo animale”; in Cina, è considerato animale benevolo; in Cambogia ancora oggi il gatto in gabbia viene portato di casa in casa nel corso di una processione cantata con l’intento di ottenere la pioggia. Iin queast’occasione ogni abitante del villaggio bagna il gatto, le cui grida, si dice, commuovono Indra, dispensatore dell’acqua fecondatrice. Nella tradizione musulmana il gatto (qatt) è piuttosto favorevole, tranne se è nero. Secondo la leggenda, siccome i ratti disturbavano i passeggeri dell’Arca, Noè passò la mano sulla fronte del leone che starnutì, buttando fuori una coppia di gatti: per questo il gatto assomiglia al leone. Secondo la tradizione musulmana il gatto è dotato di baraka: un gatto perfettamente nero possiede qualità magiche e la sua carne viene mangiata per liberarsi dalla magia; un gatto nero, avvicinato da una donna con le mestruazioni, è capace di fermarle. Inoltre il suo sangue viene usato per scrivere incantesimi potenti perché quest’animale ha sette vite.
In Persia, quando si tormenta un gatto nero, si rischia di avere a che fare, sotto questa apparenza, con il proprio hemzãd (il genio nato insieme all’uomo per fargli compagnia) e di nuocere così a se stessi. Secondo altri, è un jinn malefico che bisogna salutare quando entra di notte in una camera. In molte altre tradizioni il gatto nero è simbolo dell’oscurità e della morte.
Per gli Indiani Pawnee dell’America del Nord, il gatto selvatico è un simbolo di destrezza, di riflessione e di ingegnosità, a loro giudizio “è un furbo ed equilibrato, e riesce sempre nei suoi scopi” e per questo è un animale sacro che non può essere ucciso se non per fini religiosi e secondo certi riti. Nell’Africa Centrale, poiché all’animale si attribuiscono poteri di chiaroveggenza, molti sacchetti per le medicine sono fatti con la pelle di un gatto selvatico.
Del gatto si può parlare
all’infinito. Infatti entra nell’araldica (il gatto d’argento in campo nero è
il simbolo degli Svevi), nelle insegne luminose (celebre il gatto nero del
cabaret di Montmarte), nei sigilli (ad esempio, quello dei Sessa, stampatori in
Venezia), nella moda, nella pubblicità, nella televisione (TELEGATTI, con la
faccia di bronzo coperta d’oro), nella magia, nella stregoneria. A proposito di
quest’ultima, nell’Europa del Medio Evo la venerazione nei confronti dei gatti
si è involuta gradualmente in sospetto, paura, e infine odio viscerale. I
motivi dell’avversione sono molteplici. Già nella Bibbia sembra trovarsi
l’origine del connubio gatti e streghe: il felino viene associato ad Aradia,
figlia di Lucifero, inviata sulla Terra per diffondere riti e segreti della
magia nera.
Il culto pagano della dea norvegese Freya – che era circondata da gatti, trainava con gatti il suo carro e veniva adorata con rituali i cui protagonisti erano i gatti – venne contrastato con vigore dalla chiesa cristiana in una decisa campagna contro la stregoneria. Fu vietata l’adorazione degli dei e delle dee pagane, inclusa Freya, e i gatti, in quanto sacri alla dea, iniziarono ad essere detestati e temuti come famigli delle streghe.
Alcuni studiosi ricordano che quando i Crociati ritornarono dalla Terra Santa, nel XIV sec., sulle navi avevano i topi portatori di peste bubbonica. I gatti, loro naturali predatori, ereditarono dai topi le pulci e contribuirono a diffondere la peste. Per questo furono considerati autentici alleati di Satana. Quando poi decisero di sterminarne il 90%, permisero ai ratti di invadere gli insediamenti umani, così la peste bubbonica dilagò in tutta Europa e in parte dell’Asia, falcidiando metà della popolazione. Per ironia della sorte, furono forse proprio i gatti a porre fine all’epidemia. Essi infatti, non più perseguitati dalle popolazioni, aumentarono, arginando così, con la distruzione dei topi, il diffondersi della peste. Ma, peccando di ingratitudine, gli scampati ripresero a torturarli ed ucciderli.
Nel XV sec. papa Innocenzo III ordinò che tutti gli adoratori dei gatti in Europa fossero bruciati sul rogo come streghe, rendendo pratica comune la persecuzione della stregoneria legata ai gatti. Infatti in quest’animale il fanatismo religioso vedeva non l’utile sterminatore di topi, ma l’incarnazione del maligno. E la donna che gli stava accanto, con in mano la scopa per tenere pulita la casa, veniva indicata come strega, specialmente se con l’uso appropriato di qualche erba riusciva ad alleviare qualche male altrui. Moltissime donne comuni furono bruciate come streghe insieme ai loro gatti. I persecutori sostenevano che chi non bruciava sul rogo, non era posseduto dal demonio.Oppure venivano annegate chiuse in sacchi appesantiti da pietre. Identica sorte toccava ai gatti. La donna che fosse riuscita a riemergere in superficie era un’eretica e il gatto superstite un animale del demonio.
Per fortuna, i tempi sono cambiati ed ogni donna paragonata ad un agatto, animale emblema di eleganza e raffinatezza, se ne compiace.
Il culto pagano della dea norvegese Freya – che era circondata da gatti, trainava con gatti il suo carro e veniva adorata con rituali i cui protagonisti erano i gatti – venne contrastato con vigore dalla chiesa cristiana in una decisa campagna contro la stregoneria. Fu vietata l’adorazione degli dei e delle dee pagane, inclusa Freya, e i gatti, in quanto sacri alla dea, iniziarono ad essere detestati e temuti come famigli delle streghe.
Alcuni studiosi ricordano che quando i Crociati ritornarono dalla Terra Santa, nel XIV sec., sulle navi avevano i topi portatori di peste bubbonica. I gatti, loro naturali predatori, ereditarono dai topi le pulci e contribuirono a diffondere la peste. Per questo furono considerati autentici alleati di Satana. Quando poi decisero di sterminarne il 90%, permisero ai ratti di invadere gli insediamenti umani, così la peste bubbonica dilagò in tutta Europa e in parte dell’Asia, falcidiando metà della popolazione. Per ironia della sorte, furono forse proprio i gatti a porre fine all’epidemia. Essi infatti, non più perseguitati dalle popolazioni, aumentarono, arginando così, con la distruzione dei topi, il diffondersi della peste. Ma, peccando di ingratitudine, gli scampati ripresero a torturarli ed ucciderli.
Nel XV sec. papa Innocenzo III ordinò che tutti gli adoratori dei gatti in Europa fossero bruciati sul rogo come streghe, rendendo pratica comune la persecuzione della stregoneria legata ai gatti. Infatti in quest’animale il fanatismo religioso vedeva non l’utile sterminatore di topi, ma l’incarnazione del maligno. E la donna che gli stava accanto, con in mano la scopa per tenere pulita la casa, veniva indicata come strega, specialmente se con l’uso appropriato di qualche erba riusciva ad alleviare qualche male altrui. Moltissime donne comuni furono bruciate come streghe insieme ai loro gatti. I persecutori sostenevano che chi non bruciava sul rogo, non era posseduto dal demonio.Oppure venivano annegate chiuse in sacchi appesantiti da pietre. Identica sorte toccava ai gatti. La donna che fosse riuscita a riemergere in superficie era un’eretica e il gatto superstite un animale del demonio.
Per fortuna, i tempi sono cambiati ed ogni donna paragonata ad un agatto, animale emblema di eleganza e raffinatezza, se ne compiace.
Nel corso della storia il gatto ha
subito molteplici cambiamenti, sia nella struttura fisica, sia nell’aspetto,
soprattutto per caso e non per volontà umana. Solo in epoca vittoriana, quando
i viaggiatori fecero conoscere anche in Occidente gatti domestici dall’aspetto
esotico, l’uomo cominciò ad apprezzare le molteplici razze feline, soprattutto
nelle loro peculiarità estetiche, ossia nella varietà di colore del mantello,
per la lunghezza del pelo e la diversità del comportamento. La più antica razza
europea, che discende dai gatti esportati oltre le Alpi dai Romani, è
rappresentata dai gatti a pelo corto. I gatti dell’isola di Man provengono
dall’Asia, il gatto d’angora dalla Turchia, il persiano dall’Asia Minore, il
siamese dall’Estremo Oriente e l’abissino dall’Etiopia. Gradualmente le diverse
razze si sono delineate nelle loro caratteristiche distintive e oggigiorno sono
riconosciute cento razze che, al di là del pedigree, sono apprezzate per il
colore del manto. Il grigio è quello preferito, seguito dal nero e quindi dal
tigrato. L’arancio è il meno apprezzato e i gatti dal manto chiazzato sono i
penultimi nella graduatoria. Se gli incroci selettivi mirano ad ottenere una
precisa tonalità del mantello, una certa lunghezza del pelo, un determinato
colore degli occhi, raramente mirano ad ottenere una personalità particolare
perché il carattere ed il tipo di mantello sono geneticamente collegati. Per
esempio: i siamesi sono estroversi, esigono attenzione e si esprimono anche
vocalmente; i persiani sono indolenti, riservati e sedentari; gli abissini sono
timidi, timorosi e nervosi nei confronti dei bambini. I gatti orientali o
stranieri a pelo corto, come i siamesi e gli abissini, richiedono dai loro
padroni maggiore attenzione, rispetto ai gatti domestici a pelo corto e a pelo
lungo. Questi ultimi gradiscono di più le carezze e sono i meno espansivi.
Circa la capacità distruttiva, si può dire che i siamesi sono quelli che
combinano i guai maggiori. I gatti domestici a pelo corto generalmente
accolgono i loro compagni con maggior amichevolezza; al contrario i siamesi, i
burma e, in misura minore, gli abissini sono spesso ostili nei confronti degli
altri gatti. Se il siamese è il primo per espressione comunicativa vocale e per
eccitabilità, i gatti domestici di pelo lungo o corto sono i più silenziosi e i
più calmi.
Anche i gatti, come molti altri animali, sono disposti naturalmente all’apprendimento di norme comportamentali che, una volta acquisite, li rendono particolarmente simpatici agli uomini, specialmente quando la loro utilità diventa così palese che l’uomo non può più assolutamente privarsene. E’ il caso dei gatti che ci difendono dai topi di biblioteca, i cosiddetti gatti certosini ai quali dobbiamo un debito di grande riconoscenza per aver difeso, nelle antiche certose, i capolavori miniati della letteratura, dell’arte e della scienza patrimonio dell’umanità. Senza la loro vigile difesa dei grandi tomi in pergamena e in carte miniate a mano e, più tardi, a stampa, non conosceremmo una gran parte del nostro passato. Elogio quindi ai gatti certosini!
Anche i gatti, come molti altri animali, sono disposti naturalmente all’apprendimento di norme comportamentali che, una volta acquisite, li rendono particolarmente simpatici agli uomini, specialmente quando la loro utilità diventa così palese che l’uomo non può più assolutamente privarsene. E’ il caso dei gatti che ci difendono dai topi di biblioteca, i cosiddetti gatti certosini ai quali dobbiamo un debito di grande riconoscenza per aver difeso, nelle antiche certose, i capolavori miniati della letteratura, dell’arte e della scienza patrimonio dell’umanità. Senza la loro vigile difesa dei grandi tomi in pergamena e in carte miniate a mano e, più tardi, a stampa, non conosceremmo una gran parte del nostro passato. Elogio quindi ai gatti certosini!
Gatti e personaggi celebri
Se viene riconosciuto, per affinità
elettive, un rapporto d’amicizia tra la donna e il gatto – e le sorelle Brontë
ne sono un celebre esempio – eccentrico veniva considerato Ernest Hemingway che
nella sua casa cubana ne ospitava una trentina. Winston Churchill adorava
talmente il suo soriano rosso da commissionarne un ritratto; De Grulle era
affezionato al suo certosino, dal folto mantello dalle sfumature blu. Sir Isaac
Newton aveva tanti gatti che ha finito per inventare, per comodità sua e dei
suoi animali, la porticina oscillante per gatti. Theodore Roosvelt possedeva
due gatti. La figlia di Bill Clinton Chelsea aveva accolto Socks (“calzini”),
il randagio dalle zampe bianche. In Vaticano, Micetto, un gatto grigio e rosso
a strisce nere compariva spesso dalle pieghe della veste di papa Leone XII e il
cardinale Richelieu, a fianco del re di francia Luigi XIII tra il 1624 e il
1642, era noto per il suo affetto verso i felini. Il gatto Myssuff di
Alessandro Dumas lo accompagnava in ufficio e andava a riprendere il suo
padrone alla fine della giornata; quello di Charles Dickens aveva la
consuetudine di spegnere le candele nello studio dello scrittore per attrarre
la sua attenzione. Catarina, la micia che ispirò ad Edgar Allan Poe il racconto
Il gatto nero pare che scaldasse la moglie dello scrittore Virginia, afflitta
dalla povertà e dalla tubercolosi. Rosa Luxemburg era sempre accompagnata nei
suoi spostamenti, dalla sua gatta Minù, Margaret Thatcher adorava il suo gatto
Humphrey. Sidonie-Gabrielle Colette (1873-1954), scrittrice, attrice e
danzatrice, era amica inseparabile dei felini che scelse come protagonisti di
molte sue opere. Doris Lessig, scrittrice cresciuta in Africa, compilò con
Isolde Ohlbaum un Libro dei gatti, in cui narrò le sue esperienze con i felini,
di cui apprezzava lo spirito d’indipendenza. L’estrosa Sarah Bernhard non solo
amava i gatti, ma in particolare adorava la sua pantera con la quale
passeggiava lungo il Bois de Boulogne suscitando scalpore e apprensione.
Infine, Anna Magnani. L’attrice romana che offriva cibo e cure mediche ai
numerosi randagi che vagabondavano per i siti archeologici della capitale.
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