sabato 3 dicembre 2022

FOTOGRAMMI



(da novembre 2022)

                                                                                                                               
                                                                                                                              Nanni 2022


ISA MORANDO

Liberty

(Anni Cinquanta, la nostra Belle Époque)

 

I fiori variopinti del cancello

 - come un gioco -

li sceglievo a seconda dell'umore:

una parte di me, li accarezzavo.

Sullo sfondo, la villa era il forziere

dei nostri sogni.

Risuonavano musiche e risate,

voci di gioia

in un'aria sospesa.

 

Scivolarono rapide le attese

inghiottite dal tempo.

 

Sono tornata, dopo tanti anni.

Patetico amarcord...

Cerco inutili tracce di colore:

la ruggine impietosa

ha corroso lo smalto.

 

Solo il grigio è rimasto.  Anche la casa

appare vuota e spoglia 

nella nebbia del cielo.

Le fronde non stormiscono parole.

Si spegne, lentamente,

Il tumulto del cuore.

 

Abbandono, silenzio. Ma il cancello

è aperto, ancora.

La bicicletta a lato dell'ingresso

racconta una presenza:

icona di una meta,  di un ritorno,

di una rinuncia ... 

o forse un nuovo coraggioso inizio.

                                                                                                                           Genova,  novembre 2022





                                                                                              
                                                                                                 Nanni 2022


ISA MORANDO

Dalla finestra di fronte

 I doppi vetri smorzano i rumori.

Incombono le case senza luce,

i muri grigi, le finestre vuote...

Si libera lo sguardo,

vola alto,

nel cielo di un tramonto

di rosso e d'oro.

Immagine fugace e ammaliatrice,

preludio

di rinnovato amore

tra le giovani braccia di un poeta.

                                                                                                                             

                                                                                                                                Genova,  novembre 2022

 







                                                                                  

 

 

venerdì 2 dicembre 2022

PRESENTAZIONE

                                                                                      


giovedì 10 novembre 2022

RECENSIONE


UNA DONNA IN CRISI

 Rosa Elisa Giangoia


In questo suo nuovo romanzo, Senza sapere perché, Dionisio di Francescantonio ritorna a presentare situazioni problematiche all’interno della coppia e della famiglia, tematica su cui aveva già avuto modo di riflettere per tratteggiare le vicende dei suoi racconti compresi nei precedenti volumi antologici Il delirio e la speranza. Storie di padri separati (2012) e Inconsolabili. Vite sconclusionate al tempo dell’irragionevolezza e della paura (2017).

Qui tutta la narrazione è incentrata sulla figura della protagonista, Rebecca, intorno a cui ruotano  gli altri personaggi, appartenenti o meno al suo nucleo familiare, tutti sempre strettamente funzionali allo svolgimento della storia di Rebecca, per cui la narrazione ha una struttura coesa incentrata sulla figura della protagonista. Lei è una donna di mezza età, inesorabilmente arrivata al punto di svolta della sua vita, oltre il quale capisce che ormai non ci sono più possibilità di alternative o tanto meno di tornare indietro. Vede sfuggiti i suoi sogni giovanili di realizzarsi nel campo della creazione artistica, avendo dovuto sacrificarli per impegnare tutto il suo tempo e le sue energie per la famiglia, allietata da tre bambine che ora, però, sono diventate donne e vivono la loro vita autonoma. Tutto questo porta Rebecca a sentirsi annoiata e insoddisfatta, ha molti desideri, ma sempre piuttosto vani, nebulosi, senza una configurazione e un programma preciso e attuabile. Anche il rapporto d’amore con il marito non è più soddisfacente per lei che, anzi, sembra attribuire a lui questa sua situazione di insoddisfazione e di crisi. Così decide di andarsene dalla casa coniugale per trasferirsi nell’appartamento dei suoi genitori, ormai vuoto. Dapprima il marito sospetta e teme che un altro uomo sia entrato nella vita della moglie, ma poi questo suo dubbio risulta del tutto infondato: se n’è andata «senza sapere perché». Il marito e le figlie cercano un dialogo con lei, per capire fino in fondo la sua situazione, per aiutarla con disponibilità a rivedere la sua scelta, ma tutto è inutile.

Rebecca, però, non è felice, sembra arrivata in fondo a un baratro di insoddisfazione e di depressione. Dal punto di vista narrativo si è così pervenuti alla spannung che richiede una svolta per ridare dinamica alla vicenda.

Sapientemente lo scrittore mette in campo un’amica, che assume il ruolo di “aiutante”. Infatti a prospettare a Rebecca un’alternativa attraente è la sua  amica Allegra (nomen omen!) che le propone come “via di fuga”, un viaggio in Grecia «Per vedere cose nuove, per incontrare gente nuova, per divertirti un po’!», ma in realtà con il sotteso proposito di farle sperimentare rapporti sessuali occasionali con aitanti giovanotti disponibili a soddisfare le aspettative e le fantasie delle turiste infelici. Sono esperienze per lei abituali che suppone possano risolvere anche i problemi di Rebecca che si lascia facilmente sedurre dall’idea di un viaggio in una terra così attraente come la Grecia. Ben presto dovrà rendersi conto dei veri intenti della sua amica e per lei questa esperienza completamente nuova risulterà negativa, anzi insostenibile, per cui cadrà nell’insoddisfazione e si sentirà completamente presa dal senso di inutilità di questo tipo di rapporti. Avrà, però, consapevolezza di essere caduta in un baratro da cui può e vuole rapidamente risalire, si rende conto che questi incontri occasionali, senza amore, senza affetto, senza alcuna condivisione di vita, non scaldano il cuore, non possono riempire la sua esistenza: lei è profondamente diversa da Allegra. Ai suoi occhi riappaiono le scene di vita familiare come di gran lunga migliori, le uniche capaci di significato vero e gratificante. Decide di abbandonare le amiche ai loro vacui e futili divertimento per ritornare in Italia, nella sua casa, per recuperare l’affetto del marito e delle figlie. Ma, purtroppo, non sarò più possibile, il destino ormai ha scelto qualcosa di inesorabile per lei.

Questo romanzo riprende, per certi aspetti, la vicenda di Emma Bovary, anche se prescinde da implicazioni di carattere sociale; anche Rebecca, come Emma, ha «sempre un desiderio che trascina», ma non «una convenienza che trattiene», inoltre lei, a differenza di Emma, cambiata nel tempo la situazione sociale delle donne, è in grado di fuggire autonomamente, non ha bisogno di appoggiarsi a uomini per evadere dal suo mondo, non è più «una donna sempre impedita», per il solo fatto di essere donna. D’altro lato il romanzo trasferisce a livello di vicenda narrata quella che ormai psicologi e sociologi definiscono “sindrome del nido vuoto”, cioè quel senso di insoddisfazione che prende molte donne quando, dopo essersi impegnate per la famiglia, si ritrovano in una casa svuotata dai figli, in una condizione di totale “tu per tu” con il marito, nei confronti del quale bisogna costruire un rapporto e un dialogo nuovo; non sempre tutto ciò è facile, non sempre la vicenda coniugale evolve positivamente. A soffrire di questa sindrome sono soprattutto le donne che non hanno avuto una vita lavorative, che sentono maggiormente rimpianti e insoddisfazioni, come appunto Rebecca.

A livello narrativo tutte queste realtà, oggi diffuse e sovente sofferte, vengono tratteggiate con grande sapienza da Dionisio Difrancescantonio in un intreccio che vede la protagonista scivolare in una catabasi da cui risale con le proprie forze nel desiderio di riprendere la vita del passato. In questo modo lo scrittore vuole dimostrare che ogni persona, se lavora su se stessa con consapevolezza, può uscire fuori da situazioni personali problematiche, ma soprattutto vuole mettere in evidenza il valore della famiglia, come nucleo di per sé gratificante per i suoi componenti, come condizione di vita insostituibile per l’equilibrio e la serenità di ciascuno: questo oggi è un gran bel messaggio, coraggioso da esporre, capace anche di rigenerare il tessuto sociale. Ma il narratore vuole anche mettere in guardia nei confronti del lasciarsi andare, del fare scelte avventate, in quanto sembra ammonire che non sempre è possibile recuperare il passato, riprendere in mano quello che, magari in un momento di smarrimento, si è buttato via, dato che gli eventi possono poi evolvere in maniera per noi completamente incontrollata.

Tutto questo l’autore lo tratteggia con grande impegno, grazie alla sua capacità di analisi psicologica attenta e approfondita, a cui si aggiungono la ricchezza espressiva e l’accuratezza stilistica per esporre con efficacia le emozioni e gli stati d’animo dei personaggi, soprattutto della protagonista.

 

DIONISIO DIFRANCESCANTONIO, Senza sapere perché, Chieti, Solfanelli, 2022, pp. 203, € 13,00.

 


giovedì 11 agosto 2022

UNA POESIA di BENITO POGGIO

 

S/PARLAMENTO-TOUR

ovvero

NELL’INFERNO POLITICO ITALIANO

(Luglio 2022)

 

 

(Dante: INFERNO, Canto I)                                              (pseudo-Dante: INFERNO, Canto I bis)

 

 

Nel mezzo del cammin di nostra vita                                               Nel pien d’una politica stordita

Mi ritrovai per una selva oscura                                          La Camera e ’l Senato per iattura

Che la diritta via era smarrita,                         3                  Lasciarono l’Italia assai basìta.

 

Ah quanto a dir qual era è cosa dura                                  Era al comando un uom di levatura

Esta selva selvaggia e aspra e forte                                      Tal ch’ei metteva a nudo in modo forte

Che nel pensier rinova la paura!                     6                  Di quant’infima e bassa taratura

 

Tant’è amara che poco è più morte:                                    Eran gl’inetti, cui fidò la sorte

Ma per trattar del ben ch’io vi trovai,                                  Di guidar tra litigi, risse e guai

Dirò dell’altre cose ch’i’ v’ho scorte.               9                  L’italo ostello. E lor, per malasorte,

 

Io non so ben ridir com’io v’entrai,                                     A fondo, al par di veri malgustai,

Tant’era pieno di sonno a quel punto                                  Condusser la politica a tal punto

Che la verace via abbandonai.                        12                 Che, presi sol da’ propri viperai,

 

Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto,                             Gioiron sanz’alcuno disappunto

Là dove terminava quella valle                                            Al popol d’aver rotto e membro e palle

Che m’avea di paura il cor compunto,           15                 Ché il loro scopo alfin era raggiunto.

 

Guardai in alto, e vidi le sue spalle                                      I lor cervelli, forse, ne le stalle,

Vestite già de’ raggi del pianeta                                           Tra letame e lordure, sanza pièta

Che mena dritto altrui per ogni calle.             18                 Sciaurati furon sì che le sue falle

 

Allor fu la paura un poco queta                                           Ogniun non ravvisò poiché desueta,

Che nel lago del cor m’era durata                                       A  causa de l’arsura infüocata –

La notte ch’i passai con tanta pièta.               21                 L’usanza del cervel era completa.

 

E come quei che con lena affannata                                               A l’Assemblea riuscì la canagliata

Uscito fuor del pelago alla riva                                            Di tôrre la fiducia che serviva

Si volge all’acqua perigliosa, e guata,            24                 A Mario Draghi, ch’avea sollevata

 

Così l’animo mio, ch’ancor fuggiva,                                               Quella reputazione resa viva

Si volse a retro a rimirar lo passo,                                       Inseme al suo Governo d’alto tasso;

Che non lasciò già mai persona viva.             27                 Non tutto, già qualcun... non rinsaviva

 

Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso,                              E il senno suo portato avea all’ammasso:

Ripresi via per la piaggia diserta,                                         Nol dico, pur l’itala mente aperta

Sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso.    30                 Scuopra chi di cervel era ‘l più basso.

 

Ed ecco quasi al cominciar dell’erta,                                   Del padre un’infrazione fu scoperta,

Una lonza leggiera e presta molto,                                       Poi col suo branco lui gridò di molto

Che di pel maculato era coverta;                     33                 E al Capo minacciò la propria allerta;

 

E non mi si partia d’innanzi al volto,                                  Ei, a gara, con fare disinvolto

Anzi impediva tanto il mio cammino,                                              Del suo gruppo causò lo spezzatino

Ch’i’ fui per ritornar più volte volto.                          36                 E ’l movimento tutto fu travolto;

 

Temp’era dal principio del mattino                                      Ei fu capoccia ch’era assistentino

E ’l sol montava ’n su con quelle stelle                               Di campo e, messe su le sue bretelle,

Ch’eran con lui, quando l’amor divino          39                 Al Monte elli salì Capitolino,

 

Mosse di prima quelle cose belle;                                        Poi fe’ cader in giuso... Penta-Stelle,

Sì ch’a bene sperar m’era cagione                                      Che un comico fondò con l’adesione,

Di quella fera a la gaetta pelle,                       42                 (Grazie alle sue fatidiche storielle),

 

L’ora del tempo e la dolce stagione:                                    D’un’Armata che fu Brancaleone

Ma non sì che paura non mi desse                                      E riscosse quel poco d’interesse,

La vista che m’apparve d’un leone                 45                 Ma alcuna non avea preparazione,

 

Questi parea che contra me venesse                                    Per cui vennero meno le premesse

Con la test’alta e con rabbiosa fame,                                  E tutto si sfasciò come rottame

Sì che parea che l’aere ne temesse.                 48                 Ché concezioni lor eran sconnesse.

 

Ed una lupa, che di tutte brame                                           Affiancato ei fu nel suo certame

Sembiava carca nella sua magrezza,                                              Da unioni di politica bassezza,

E molte genti fe’ già viver grame,                  51                 Adusi lor a le lor basse trame:

 

Questa mi porse tanto di gravezza                                       Ciascuna forza ad esse bene avvezza

Con la paura ch’uscia di sua vista,                                      Per giugner del potere a la conquista,

Ch’io perdei la speranza dell’altezza.              54                 Non per capacità, per alterezza.

 

E quale è quei che volentieri acquista,                                Sine dubio l’azione fu golpista

E giugne ’l tempo che perder lo face,                                  E lasciò lo stivale nella brace

Che ’n tutt’i suoi pensier piange e s’attrista;   57               Con quel voto finale disfattista.

 

Tal mi fece la bestia sanza pace,                                          C’è chi ha tanto valor sol quando tace,

Che, venendomi incontro, a poco a poco                            Ma invece di tacer grida non poco

Mi ripigneva là, dove ’l sol tace.                     60                 Perché di voti altrui è assai vorace.

 

Mentre ch’i’ ruinava in basso loco,                                     Son personalità da videogioco

Dinanzi agli occhi mi si fu offerto                                       Che di per sé non han veruno merto:

Chi per lungo silenzio parea fioco.                 63                 I nomi lor per pièta non invoco

 

Quando vidi costui nel gran diserto                                     Ché accumulati in un sol concerto

«Miserere di me, » gridai a lui,                                            Richiamerian quei guasti tempi bui

«Qual che tu sii, od ombra od omo certo!»    66                 Pe ’l danno più totale c’hanno inferto.

 

Rispuosemi: «Non omo, omo già fui,                                              Ecce Follei, i nomi d’amendui:

E li parenti miei furon lombardi,                                         De’ toschi l’un e l’altro de’ lombardi,

E mantovani per patria ambedui.                    69                 Sed appo lor c’è mai sempre Colui

 

Nacqui sub Julio, ancor che fosse tardi,                             Che interdum soggiornar ama tra i sardi

 vissi a Roma sotto ’l buono Augusto,                                 E che a stare al poter ci ha preso gusto:

Al tempo delli dei falsi e bugiardi.                  72                 Ei problemi non ha co’ sui miliardi

 

Poeta fui, e cantai di quel giusto                                          E più l’etade sua lo fa vetusto,

Figliuol d’Anchise che venne da Troia,                              Meno ’l desìo di... regnar l’annoia

Poi che ’l superbo Iliòn fu combusto.             75                 Anzi s’accresce e non è mai frusto.

 

Ma tu perché ritorni a tanta noia?                                      Che dire di Citroni e la tettoia

Perché non sali il dilettoso monte                                        Che repara oggidì non solo il Fronte

Ch’è principio e cagion di tutta gioia? »       78                 Di chi fa l’occhiolin ai fu Savoia?

 

«Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte                                  Son gl’Itali Fratei: camaleonte

Che spandi di parlar sì largo fiume? »                                È lor fiamma che tre colori assume,

Rispuos’io lui con vergognosa fronte.            81                 Cui va aggiunta la mala negra fonte.

 

«O delli altri poeti onore e lume,                                          S’ella grida, si sa, perde ogni lume

Vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore                         E accusa Mario ch’è un accentratore

Che m’ha fatto cercar lo tuo volume.                         84                 Per poi pescar nel trito torbidume:

 

Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore;                                 Sue visioni stralabia con furore

Tu se’ solo colui, da cu’ io tolsi                                            Dirette a giovinastri arditi e bolsi

Lo bello stilo che m’ha fatto onore.                87                 Che sognano quei dì con grande ardore

 

Vedi la bestia, per cu’ io mi volsi:                                         O a genti assatanate, questo vuolsi,

Aiutami da lei, famoso saggio,                                             Che mirano d’andare a l’arrembaggio

Ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi.»          90                 E a tutti far tremar e vene e polsi.

 

«A te convien tenere altro viaggio, »                                               Grosso un partito con un gran vantaggio

Rispose, poi che lacrimar mi vide,                                       Come neve si scioglie e si divide

«Se vuo’ campar d’esto loco selvaggio;         93                 In partitini, ognuno pe ’l suo viaggio:

 

Ché questa bestia, per la qual tu gride,                                Ulivi, Verdi e Laici a interne sfide

Non lascia altrui passar per la sua via,                               Si rivelaron una fesseria

Ma tanto lo ‘mpedisce che l’uccide:                96                 Ché si persero in guerre fratricide

 

E ha natura sì malvagia e ria,                                              Dando origine, e fu pura follia,

Che mai non empie la bramosa voglia,                               A varie più fazioni e con gran doglia

E dopo ’ l pasto ha più fame che pria.            99                 Per gli elettori fu una lotteria

 

Molti son gli animali a cui s’ammoglia,                              Capir qual è il gruppuscolo che imbroglia

E più saranno ancora, infin che ’l Veltro                            Meno e ber sani in un bicchier di peltro

Verrà, che la farà morir con doglia.             102                 Fa e non fallisce almeno quella soglia

 

Questi non ciberà terra né peltro,                                        Di voti sanza correr dietro al... Veltro,

Ma sapïenza, amore e virtute,                                              Ch’or qui or là, con mosse sempre astute,

E sua nazion sarà tra feltro e feltro.            105                 Move passi felpati al suon di feltro.

 

Di quella umile Italia fia salute,                                          Libere e uguali sono le vedute

Per cui morì la vergine Cammilla,                                       Per acume di chi pur or assilla

Eurialo e Turno e Niso, di ferute.                108                 E pensa d’ottenere... ricadute

 

Questi la caccerà per ogni villa                                            Che guizzan via al paro d’un’anguilla!

Finché l’avrà rimessa nello ’nferno,                                               Oh PD che sfasciasti e fosti perno

Là onde invidia prima dipartilla.                  111                 D’intrallazzi e raggiri, ancora brilla

 

Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno                                Chi scatenò ’l mal seme e ’l malgoverno

Che tu mi segui, ed io sarò tua guida,                                 Che i maggio frutti hodie ha sanza guida

E trarrotti di qui per luogo etterno,              114                 E Ausonia ha tramutato in vero inferno!

 

Ove udirai le disperate strida,                                              Non far udir le tue angustiate grida,

Vedrai li antichi spiriti dolenti,                                             Se ancora t’affratelli agl’incoscienti

Che la seconda morte ciascun grida;           117                 Pur tronfi di pazzia liberticida.

 

E vederai color che son contenti                                          Guardati intorno: tutti son furenti

Nel foco, perché speran di venire,                                       Perché con spregio vuoi di novo ire

Quando che sia alle beate genti.                  120                 Sotto il mal flusso di... Stelle cadenti.          

 

Alle qua’ poi se tu vorrai salire,                                           Unisciti con chi vuol pervenire

Anima fia a ciò di me più degna:                                         Ad una nova Azione ch’è assai degna

Con lei ti lascerò nel mio partire;                 123                 E non aspira Europa a demolire.

 

Ché quello imperador che lassù regna,                               Con fedeli alleati tu addivegna

Perch’io fu’ ribellante alla sua legge,                                  A rafforzare quei Diritto e Legge

Non vuol che’n sua città per me si vegna.   126                 Per cui il Presidente sol s’impegna,

 

In tutte parti impera, e quivi regge;                                     Mirando a tener salde le pulegge

Quivi è la sua città e l’alto seggio:                                       D’un congegno che gira sempre peggio,

Oh felice colui, cu’ ivi elegge !»                   129                 Se alcuno con vigor non lo sorregge.

 

Ed io a lui: «Poeta, io ti richieggio                                      C’è chi già s’appassiona al proprio seggio

Per quello Dio che tu non conoscesti,                                  E in grande spregio ha gl’itali dissesti,

Acciò ch’io fugga questo male e peggio,     132                 Cui Mario Draghi avea dato pareggio.

 

Che tu mi meni là dove or dicesti,                                        Anco se c’è chi a forza lo contesti

Sì ch’io veggia la porta di San Pietro                                  Poiché giudica ognun col proprio metro,

E color cui tu fai cotanto mesti.                   135                 Sanza di lui sarian tempi funesti       

 

Allor si mosse, e io gli tenni dietro.                                      E rischieremmo più d’un passo arretro.

 

            Dante Alighieri, fiorentino                                                     Pseudo-Dante (B.P.), genovese)