giovedì 4 maggio 2023

RECENSIONE

 


VECCHI VERSI

Davide Puccini


   Sotto il titolo dal suono suadente Foglie di tiglio Paolo Zoboli ha dato alle stampe i suoi Vecchi versi (si tratta in buona sostanza di una doppia allitterazione), come recita il sottotitolo giustificato senza dubbio dai limiti cronologici 1985-1999, che rientrano interamente nel secolo scorso, ma anche con allusione a un modo di far poesia “vecchio”, in quanto riprende perlopiù la metrica tradizionale. L’aspetto che subito colpisce alla lettura è infatti la sapienza tecnica nella costruzione di sonetti più o meno regolari, di quartine e terzine, perfino di un tipo di sestina di sua invenzione che si basa sì sulla complicata struttura della canzone sestina dantesca e petrarchesca, dove le parole-rima si ripetono identiche in tutte le stanze con ordine di retrogradazione a croce (cioè 615243 rispetto alla stanza precedente), ma sostituendo delle semplici rime alle parole-rima, oppure di strofe saffiche e alcaiche di derivazione classica. Lo stesso si può dire dei versi, che siano quinari, settenari o endecasillabi, sempre perfettamente torniti.
   Qualche concessione alla contemporaneità più raffinata Zoboli la fa proprio nell’uso della rima, ammettendone con frequenza di ipermetre, cioè seminascoste da una sillaba eccedente (cime: effimero, blu: due); e se la tradizione ammette, sia pure come eccezione, le cosiddette rime all’occhio, che soddisfano appunto l’occhio ma non l’orecchio (urli: pur lì: burli di Inferno VII 26-30), lui si serve anche di una rima “all’orecchio” autorizzata dalla pronuncia, che tuttavia che non soddisfa l’occhio (sparso: marzo).
   Non ci stupiamo di questa bravura, dal momento che Zoboli è un filologo di lungo corso che ha accumulato un bel patrimonio di volumi e di saggi, tutti pregevoli per originalità di impianto e scrupolosa puntualità di indagine. Una spia linguistica di tale atteggiamento stilistico può essere l’aggettivo desueto róso ‘corroso’, che torna più volte, e nella stessa direzione vanno vocaboli come occaso ‘tramonto’, diruto ‘cadente’ o vime ‘vincolo’, che si trova in Dante; oppure la sinestesia (cioè l’unione di due sensazioni diverse, qui uditiva e visiva) fioco sguardo, che certo deve anch’essa qualcosa al dantesco fioco lume, o un titolo come Hortus conclusus, il quale, benché provenga direttamente dalla fonte biblica (Cantico dei cantici 4, 12), è locuzione ricorrente nel linguaggio letterario; per non parlare poi della palese e felicissima imitazione di Catullo in un testo come Epicedio del gatto o dell’avverbio interminatamente, classificato come antico dal Grande dizionario della lingua italiana sebbene lo usi pure qualche moderno (per esempio Palazzeschi), forse una suggestione leopardiana (gli interminati / spazi dell’Infinito).
   Ma lasciamo da parte queste osservazioni da addetti ai lavori, per quanto pertinenti. Più conta che il    libro sia pianamente leggibile con piacere da qualunque appassionato di poesia e che vi si possano senza difficoltà intravedere le linee evolutive di un vero e proprio canzoniere d’amore, il quale sullo sfondo di paesaggi e luoghi mai banalmente descrittivi, bensì penetrati a fondo nell’anima, tratta a lungo di un rapporto affettivo ormai finito con una Ilaria e poi della nascita del nuovo amore per la moglie Erika, mentre l’ultima sezione, l’unica che eccede i limiti cronologici suddetti essendo datata luglio 2015, è composta da tre deliziosi componimenti per le figlie. Leggiamo almeno quello di chiusura, Nel gazebo: «Brezza notturna: / e le cicale hanno ceduto ai grilli. // Maria disegna al tavolo di legno / e Lucia fa un ritratto alla sua mamma. // Rinfresca l’aria e cadono gli strilli. / Spunta la luna tra le nubi. Adesso / siamo un po’ stanchi, è vero? Andiamo a nanna».
   Una sezione, La morte degli amanti, è costituita da uno studiatissimo quaderno di traduzioni, soprattutto di testi francesi (tre di Baudelaire e di Apollinaire, due di Verlaine e uno di Mallarmé), ma ce ne sono anche due di Edgar Allan Poe e uno di Orazio. Non c’è quasi bisogno del confronto con gli originali per apprezzare la perfezione della resa, perché la trasposizione nella nostra lingua può ambire a porsi, in fondo, come nuovo originale. 
   Tra i vari temi toccati affiora anche il conforto di una salda fede, in grado di opporre la dimensione dell’eternità all’inesorabile azione del tempo. Prevalgono atmosfere autunnali e invernali non prive di accenti malinconici ed elegiaci: «Il tiglio, che ingialliva nei tramonti / ai primi freddi dell’autunno, intorno / coprì di foglie il suolo, sui miei monti». Ed è proprio l’autunno la stagione congeniale di Zoboli, se è vero che essa ritorna anche nel momento radioso dell’amore ricambiato, sia pure intrisa di molta dolcezza (in Verso l’autunno il concetto è ripetuto tre volte). L’estate trionfa invece, non a caso, nelle luminose poesie per le figlie. Ma non viene mai meno il saldo controllo della forma, nella quale si può anzi rintracciare un ulteriore elemento di classicità oltre la costruzione metrica e il lessico, vale a dire una propensione all’uso di simmetrie bilanciate nella struttura sintattica che ricorda un altro poeta filologo, l’inarrivabile Angelo Poliziano.


PAOLO ZOBOLI, Foglie di tiglio. Vecchi versi 1985-1999, Novara, Interlinea, 2023, pp. 166, € 16,00.

mercoledì 18 gennaio 2023

L'ASCENSORE DI CASTELLETTO

 

Disegno di Nanni Perazzo



L'ASCENSORE DI CASTELLETTO

Isa Morando


Ti chiedevo perché, quel pomeriggio

- 20 dicembre, un giorno come un altro -

avessi tanta fretta di concludere,

con gli ultimi dettagli di colore.

Ti chiedevo perché quell'ascensore

celebrato dai versi del poeta

di chiarissima fama.

"Non so" - mi rispondevi -

Era un segnale?

Tra il fogliame degli alberi ombre scure,

chiazze nere, inquietanti, sul selciato.

Grigie le case

con i loro segreti.

L'ansia di vivere - forse la paura -

si placava lontano, nell'azzurro

dell'infinito mare.

                                                                                                 

                                                                                                    Genova,  era il 20 dicembre del 2022

lunedì 2 gennaio 2023

POESIA

Come augurio per il nuovo anno 2023 pubblichiamo questa poesia che gli amici 

ANDREA GUIATI e CELESTE VARETTO 

ci hanno inviato dalla grande nevicata di dicembre 2022 a Buffalo (USA)



Un altro anno sta per finire



Un altro anno sta per finire
Siamo ormai all’imbrunire
Ciò che è stato, è stato
Il passato si dà per scontato.


Tante creature sono nate
Molte altre se ne sono andate
Alcune per natura o malattia
Ma troppe per pura follia.


Alluvioni, incendi e uragani
Colpevoli noi, esseri umani
Le stragi sono in aumento
Osserviamo con sgomento.


Il diritto di vivere la vita
Interrotto da un despota
Gioca con il mio mondo
Come fosse il suo mappamondo.


Il crepuscolo suggerisce una fine
Come la morte oltre ogni confine
Dal buio di quella tetra ombra
La natura dipinge la sua tomba.


E così, con ogni tramonto
S’irradia la nascita del giorno
L’alba sprigiona i suoi colori
Si risvegliano gli amori.



Another year is coming to an end
Twilight is upon us
What was, was
The past is conceded.


Many creatures were born
Many others have gone
Some by nature or disease
Far too many for sheer madness.


Floods, fires, and hurricanes
We are the ones to blame
The massacres are on the rise
We watch horrified.


The right to live our lives
Interrupted by a despot
Who plays with my world
As if it was his plaything.


The twilight suggests an end
Like death beyond all borders
From the darkness of that shadow
Nature paints its own grave.


And so, with every sunset
The birth of day radiates
Dawn releases its colors
Awakening all lovers.


© Andrea Guiati, versione inglese Celeste Varetto 2022

 

 

sabato 3 dicembre 2022

FOTOGRAMMI



(da novembre 2022)

                                                                                                                               
                                                                                                                              Nanni 2022


ISA MORANDO

Liberty

(Anni Cinquanta, la nostra Belle Époque)

 

I fiori variopinti del cancello

 - come un gioco -

li sceglievo a seconda dell'umore:

una parte di me, li accarezzavo.

Sullo sfondo, la villa era il forziere

dei nostri sogni.

Risuonavano musiche e risate,

voci di gioia

in un'aria sospesa.

 

Scivolarono rapide le attese

inghiottite dal tempo.

 

Sono tornata, dopo tanti anni.

Patetico amarcord...

Cerco inutili tracce di colore:

la ruggine impietosa

ha corroso lo smalto.

 

Solo il grigio è rimasto.  Anche la casa

appare vuota e spoglia 

nella nebbia del cielo.

Le fronde non stormiscono parole.

Si spegne, lentamente,

Il tumulto del cuore.

 

Abbandono, silenzio. Ma il cancello

è aperto, ancora.

La bicicletta a lato dell'ingresso

racconta una presenza:

icona di una meta,  di un ritorno,

di una rinuncia ... 

o forse un nuovo coraggioso inizio.

                                                                                                                           Genova,  novembre 2022





                                                                                              
                                                                                                 Nanni 2022


ISA MORANDO

Dalla finestra di fronte

 I doppi vetri smorzano i rumori.

Incombono le case senza luce,

i muri grigi, le finestre vuote...

Si libera lo sguardo,

vola alto,

nel cielo di un tramonto

di rosso e d'oro.

Immagine fugace e ammaliatrice,

preludio

di rinnovato amore

tra le giovani braccia di un poeta.

                                                                                                                             

                                                                                                                                Genova,  novembre 2022