martedì 19 marzo 2024

UN OMICIDIO IN PROVINCIA



 

Rosa Elisa Giangoia

 

Con il suo nuovo romanzo giallo Una morte perbene Simonetta Ronco, docente 

universitaria e giornalista, conferma le sue abilità di scrittrice di gialli, quelle che, 

grazie anche alla sua passione per i crimini e i misteri, l’hanno portata a creare due 

figure di investigatori di successo, protagonisti di interessanti romanzi di 

attraente lettura: il pianista Audemars Février e il commissario veggente Dario 

Barresi.

Quest’ultimo romanzo propone una nuova figura di investigatore, quella del 

poliziotto Luca Traverso, di tipo più tradizionale e comune, ma che, con la sua 

pazienza, sotto cui si celano scaltrezza e sagacia, è capace di portare a soluzione il 

complesso caso di “una morte per bene”, che appare molto difficile fin dall’inizio, 

come ben esprime il titolo ossimorico del romanzo.

Questo espediente retorico stabilisce subito uno stretto patto con il lettore, che non 

resta certo deluso, proseguendo nella lettura del dipanarsi della vicenda.

Tutto avviene nell’ambiente piuttosto ristretto del mondo borghese di una città

ligure, Imperia, meno provinciale di molte altre, al tempo dei fatti, siamo nel 1971, 

di molte altre in Italia per il suo crescente affermarsi in ambito turistico e per l’es-

sere prossima al confine con la Francia, paese, allora più che oggi, simbolo di mo-

dernità e libertà.

Qui, improvviso e inaspettato, avviene un “fattaccio” che spaventa e sconvolge

il quieto, e piuttosto abitudinario, ambiente della buona borghesia cittadina, un

ambiente in cui tutti si conoscono e, pur con ruoli e modalità diverse, interagiscono, 

un mondo in cui il centro cittadino e l’entroterra agricolo sono strettamente connessi, 

soprattutto per ragioni di proprietà e di affari.

Il “fattaccio” è veramente serio: infatti viene trovato morto in un bosco, appena 

fuori città, il proprietario del quotidiano locale, Attilio Cernuschi, intorno a cui 

ruotano il sindaco, Guido Rosati, la moglie Claudia Cantalamessa, titolare della 

farmacia omonima, e suo cugino Pietro De Martinis, medico, tutti abitanti in piani 

diversi di una palazzina. Inoltre interagiscono altri personaggi come Marcello 

Bandelli, “un bell’uomo. Alto, bruno, […] considerato un seduttore” (p. 7), 

insoddisfatto del suo matrimonio di convenienza, proprietario di “un piccolo 

pied-à-terre a Bordighera, lontano da occhi indiscreti” (p.9) e Paola Riccardi, 

proprietaria dell’Albergo Libeccio, vedova quarantenne “che mostrava una 

spiccata preferenza per le avventure a tempo, specialmente con uomini più 

giovani di lei (p. 8). Sono tutti personaggi ben caratterizzati psicologicamente 

dalla scrittrice, i cui caratteri emergono a poco a poco, attraverso le loro abitudini 

e i loro comportamenti.

Di rilievo e soprattutto diverse per personalità sono le figure femminili: 

“Donne, quante donne erano implicate in quella faccenda! Donne giovani, 

sole, indifese come Anna o grintose come Paola. Donne che sapevano e 

non dicevano, che sicuramente proteggevano qualcosa o qualcuno nel loro fare e 

non fare, dire e tacere” (p. 56).

Ma determinante è la figura della vittima che, a poco a poco, appare al centro 

di una rete di collusioni, favori, connivenze e complicità fra quasi tutti i 

componenti della buona società locale. A districare questa complessa matassa 

è chiamato il commissario Luca Traverso, trasferito da poco nella cittadina ligure 

dopo un provvedimento disciplinare. Si muove con cautela e circospezione, 

fidandosi poco di quelli che incontra, anche se una connaturata ambizione l

o induce a impegnarsi al massimo per chiarire gli aspetti oscuri di questa vicenda 

che si complica sempre di più con l’emergere di particolari e per i comportamenti 

di alcuni dei personaggi coinvolti.

Il campo d’indagine si amplia e porta lontano, a Napoli, dove Attilio Cernuschi 

viveva e lavorava prima di trasferirsi nella città della Riviera ligure di Ponente. 

Qui è la chiave di tutto, il bandolo della matassa che si delinea faticosamente, 

pur tenuto saldamente in mano dall’abilità del commissario Traverso, e che porta, 

come in ogni giallo di buon livello, a una soluzione inaspettata, che spiega anche 

il titolo del romanzo.

 

SIMONETTA RONCO, Una morte per bene, Sanremo (IM), Leucotea, 2023, pp. 89, € 14,30.

mercoledì 20 dicembre 2023

AUGURI NATALIZI

A TUTTI I NOSTRI LETTORI VIVI E FERVIDI AUGURI NATALIZI CON QUESTE POESIE CHE I NOSTRI AMICI E COLLABORATORI ANDREA GUIATI E CELESTE VARETTO CI HANNO INVIATO DA BUFFALO (USA)




Praised be Jesus Christ


the true and tragic story
of the cunning serpent
eyes that seduced Eva
Adam’s seductress
twisting and twirling
spreads fear and anxiety
to naked human beings


the horror of original sin
the thirst for knowledge
of good and evil
of Adam and Eve
the punishment inflicted by God
to punish mankind
and those who still mock him


oh, but the image of God
portrayed in perfect beauty
by painters over time
his presence is a gift
indicating to who believe in him
to give a lot to get little
that mercy is a virtue


Praised be Jesus Christ

© English translation by Celeste Varetto 2023




Sia lodato Gesù Cristo


la storia vera e tragica
del serpente astuto
occhi che si aprono
Eva sedotta e seduttrice
attorcigliandosi
diffonde paura e inquietudine
agli esseri umani nudi

l’orrore del peccato originale
la sete di conoscenza
del bene e del male
di Adamo ed Eva
la punizione inflitta da Dio
per punire la stirpe umana
e chi ancora lo deride

oh, ma l’immagine di Dio
ritratto in perfetta bellezza
da pittori nel tempo
la sua presenza è un dono
che indica a chi in lui crede
di dare tanto per avere poco
che la misericordia è una virtù

Sia lodato Gesù Cristo


© Andrea Guiati 2023




Ritorno Natalizio Christmas Return


Separa un mare profondo                                         Separated by a deep sea
il figlio tuo che piangi                                              from the son that you seek
con sguardo moribondo.                                           with tears in your eyes.

Ormai scomparso il volto                                          Now gone is the face
di lei che confortò                                                      of the one who comforted
il mio primo pianto.                                                   my first whines.


Da anni non si muove                                                For years it hasn’t moved
colui che diresse                                                        he who directed
le mie prime prove.                                                    my first steps.

 
Il loro povero stato                                                     Their poor fate
per un figlio lontano                                                   because of a faraway son
è di un cuore straziato.                                                is that of a broken heart.


Ma un rombo festoso                                                   But a festive roar
vola nel cielo excelso,                                                  flies in the highest sky
il mio cuore esulta gioioso.                                          my heart exults in joy.


La città di luci risplende                                               The city is bright with lights
l'aria risuona di canzoni                                                the air resounds of songs
la chiesa la fede riaccende.                                           churches rekindle their faith.


Gesú Bambino è rinato                                                 Baby Jesus is reborn
e miracolosamente                                                        and miraculously
il figlio ha riportato.                                                      the son has returned.



©Andrea Guiati, 2023

giovedì 30 novembre 2023

RECENSIONE

 


UN GIALLO CINEMATOGRAFICO

Rosa Elisa Giangoia


   Con L’urlo nella notte Donatella Mascia regala ai suoi lettori, senz’altro ormai molti e appassionati, un nuovo avvincente romanzo che possiamo definire “giallo soft”, in quanto senza eccessivo spargimento di sangue, ma pur tuttavia dotato di una solida struttura narrativa in cui le vicende si sviluppano in una concatenazione logico-consequenziale che l’autrice, grazie anche al supporto scientifico della sua formazione culturale e della sua attività professionale riesce a governare con sapienza e maestria, senza sbavature, senza tempi morti ed evitando trovate troppo fantasiose, al limite del reale possibile.
   L’intreccio e la presentazione dei fatti stabiliscono fin dall’inizio un buon patto con il lettore, che viene attratto e incuriosito, fin dal titolo in cui compaiono due vocaboli tipici della paura l’ “urlo” e la “notte”. La narrazione inizia da un fatto improvviso, inaspettato, capace di suscitare molti interrogativi: quel lacerante “urlo nella notte”, appunto, proveniente da un appartamento in cui vive una donna sola, con l’unica compagnia di un cane. A preoccuparsi per questo urlo è un giovane vicino di casa che accorre e fa ricoverare la donna, ferita gravemente e terrorizzata, in ospedale. Questo inaspettato soccorritore diventa il motore di tutta la vicenda, in quanto la sua curiosità di fronte al drammatico evento, che sembra contrastare con la figura tranquilla e appartata della vicina di casa, lo porta ad iniziare un’indagine meticolosa e serrata nella vita di questa donna.
   Di qui la narrazione si dipana in un montaggio cinematografico, per il susseguirsi di scene diverse in luoghi differenti di un ampio scenario geografico tra l’Italia (Genova e Milano) e la Svizzera (Ginevra), ma anche in una complessità d’intreccio tra due piani temporali, quello della ricostruzione del passato della donna e quello del presente delle indagini. La narrazione assume sempre più la caratteristica di una spy fiction in cui si verificano traffici d’armi in uno scenario di intrighi internazionali di cui sono protagonisti gruppi terroristici in competizione tra di loro.
   Si sviluppa così una vicenda ricca di colpi di scena, piena di suspense che tiene avvinto il lettore per il verificarsi di fughe e di inseguimenti, in un avvicendarsi di personaggi e di vicende sorprendenti.
   A poco a poco le tenebre sulla vita di questa apparentemente insignificante signora Tilde si dipanano ed emerge il suo passato, quello in cui lei era stata una bella e affermata fotografa, di nome Edvige che, durante un soggiorno a Ginevra per un servizio fotografico, aveva casualmente assistito a un omicidio in un lussuoso albergo. Questo fatto aveva sconvolto la sua vita, costringendola a fuggire in quanto inseguita da persone misteriose, a cui può sottrarsi grazie all’aiuto di quello che per lei è sempre il Corsaro, un suo perenne innamorato, capace di molte trovate e di astuti espediente, per l’efficace addestramento conseguito nella Folgore. Nell’intrecciarsi di vicende, sovente anche rocambolesche, entrano in scena politici corrotti, cellule islamiche impazzite, personaggi dei servizi segreti, tutti descritti dall’autrice con sapide punte di ironia.
   Ad animare tutti questi fatti sono i personaggi, sempre tratteggiati con realistica efficacia, anche per l’attenzione ai particolari e per la capacità di ottima costruzione psicologica dell’autrice, personaggi a tutto tondo, talvolta con qualche accentuazione grottesca. Ben delineata soprattutto la protagonista nella sua duplice personalità, prima quella di Edvige, affermata e disinvolta fotografa, capace di muoversi con sicurezza professionale negli ambienti internazionali, poi quella di Tilde, appartata donna che cerca di passare inosservata. Altrettanto ben tratteggiato il giovane vicino di casa Venanzio, suo salvatore, semplice e un po’ scialbo farmacista che si improvvisa detective, rivelando impreviste doti di perspicacia. Tra di loro emerge il cane Lionello che da custode della signora Tilde diventa compagno inseparabile di Venanzio in un dialogo muto, quanto efficace ed espressivo. Animale questo con valenze umane che assume il ruolo di elemento tipico, immancabile, nella narrativa di Donatella Mascia, che in tutti i suoi precedenti romanzi ha dedicato spazio ai cani e ai gatti, rendendoli in alcuni casi veri e propri protagonisti di avvincenti vicende, tanto che potremmo dire che questi animali costituiscono la cifra caratteristica e inconfondibile del suo narrare.
   Infine bisogna evidenziare lo stile narrativo, sobrio, misurato, sempre pienamente funzionale al racconto, preciso ed efficace.

DONATELLA MASCIA, L’urlo nella notte, Genova, Stefano Termanini Editore, 2023, pp. 216, € 18,00.

UNA POESIA

 di Carla Caselgrandi Cendi


Per lo splendore di un cielo stellato

e il rigoglio d'erbe nel prato

se fossi nata in un mondo senza Dio

penso lo avrei inventato io

Sollecitata da un'idea d'amore

oltre il male e il timore

avrei scelto per vivere quaggiù

di camminare al fianco di Gesù


ottobre 2023



sabato 25 novembre 2023

RECENSIONE

 


L’ACQUA E IL FUOCO, LA VITA E LA MORTE

Rosa Elisa Giangoia

     Acqua acqua fuoco, ultima silloge poetica di Laura Accerboni, mette in evidenza nel titolo i due elementi naturali, carichi di contrapposizioni, che sostengono e, nello stesso tempo, possono annientare la vita dell’uomo. L’acqua è, fin dai primordi della riflessione occidentale e il riferimento è ovviamente a Talete, il principio dell’esistere della vita in natura, sia nel mondo vegetale che in quello animale e umano. Ma l’acqua può diventare elemento di morte, può trascinare con la sua forza, sommergere e affogare, mentre il fuoco, che aiuta la vita con il calore, permette la manipolazione dei metalli e arricchisce l’alimentazione con la cottura, può distruggere tutto, incenerendo ogni cosa con le sue fiamme. Acqua e fuoco determinano quindi il cerchio della vita e della morte, in un intreccio ambiguo, insondabile e inesorabile, all’insegna di quella casualità che per l’uomo è mistero. L’imperscrutabile avvicendarsi di vita e di morte, nel susseguirsi di eventi inspiegabili e imprevedibili, determina la percezione dell’assurdo come elemento costitutivo dell’esistere.
    Questa pare essere la percezione esistenziale di Laura Accerboni che si impegna con fantasiosa immaginazione a rifletterla e riprodurla metaforicamente nei suoi testi poetici. I brevi componimenti di questa silloge, senza sentimentalismi e privi di coinvolgimenti emotivi, si susseguono in incalzanti concatenazioni di immagini in antitetiche contrapposizioni, in sequenze fonico-lessicali orientate verso finali a sorpresa e a effetto, con una durezza espressiva finalizzata a evitare ogni caduta in esiti di tradizionale liricità. Viene così tratteggiato un mondo all’insegna dell’assurdo (“Ho fotografato / l’inferno / è sempre a fuoco / perfetto”), senza alcuna illusione, ma anche senza speranze, in cui una forza inarrestabile e incontrollabile, nella metafora dell’acqua, tutto sommerge, in cui è meglio fare ciò che è contrario all’abituale umano comportamento: L’acqua / sta sotto / al letto / se non dormi / arriva / alle lenzuola / e annega / ogni cosa / fino al tetto”. È un mondo in cui può accadere solo l’imprevisto, l’inaspettato: “Mi è uscita / una balena / dalla bocca / ha iniziato / a crescere / nella stanza. / Le ho detto / «Non è un acquario / questo». Ma la balena assume connotati metaforici emblematici, caricati di ascendenze letterarie, per poi volgersi verso raffigurazioni di critica all’attualità: “La balena / è bianca / sbiancata / dalla plastica. / Inseguo / quintali / di bottiglie / da tutta la vita”.
    Ma nel nostro problematico mondo domina anche l’autodistruzione psicologica: “Certi animali / si masticano / fino a sanguinare / non vogliono / che siano altri / a mangiarli / si riducono / a brandelli”, in un interscambio sinestetico di piani, tra l’animalesco e l’umano: “Ci sono scoiattoli / nati/ per essere uomini / lo vedi / da quello / che ingoiano / dalla quantità / di alcol / e dalla pelliccia / che indossano / al bar / come uno scalpo”.
    Da questa fantasmagoria di immagini all’insegna dell’assurdo emergono brandelli di realtà in una sorta di filigrana sfuocata, come avviene per il crollo del ponte Morandi a Genova: “Mentre cade / l’uomo / sistema le ultime / cose / la porta di casa / che si raggruma / nello schianto”, primo testo di una sequenza a cui ne seguono altri sull’argomento di forte incisività per stigmatizzare anche colpevolezze.
    Questi componimenti poetici di Laura Accerboni, apprezzabili per l’originalità di ispirazione a cui corrispondono un’adeguata struttura e un appropriato piano espressivo, si vengono a trovare in sintonia con quello che è il prevalente sentire filosofico del nostro tempo, in quanto indagano, ma soprattutto rappresentano, ciò che è, l’essente, evidenziando il fatto che non tutto sia sempre precisamente calcolabile secondo i principi della scienza naturale. In definitiva, si possono apparentare all’affermazione di Wittgenstein secondo cui il mondo è la totalità dei casi. Ora è chiaro che tra i casi si possono, anzi si debbano, stabilire dei legami, come appunto la scienza fa, ma dobbiamo anche tener presente che oggi la scienza quantistica si basa sul principio di indeterminazione, secondo cui nessuna causa ha in sé tutti i propri effetti, per cui non tutto può essere determinato a priori.
    In questa consapevolezza è chiaro che ogni realtà esistente è qualcosa di intrinsecamente indeterminato, inquieto, qualcosa che non si potrà mai ridurre a una causa, spiegare in modo del tutto deterministico. Per questo anche noi siamo inquieti, sospesi nel possibile, nell’imprevedibile.
    Tutto questo, secondo me, Laura Accerboni ha voluto esprimere e ha saputo farlo, oltre che con originalità, con efficacia.

LAURA ACCERBONI, Acqua acqua fuoco, Torino, Giulio Einaudi Editore, 2020, pp. 124, € 11,50.

venerdì 24 novembre 2023

RECENSIONE

 


TEBE, ARCHETIPO DELLA MODERNITÀ

 Rosa Elisa Giangoia

 

     La nuova recente opera poetica di Donatella Bisutti Erano le ombre degli eroi è un poemetto davvero straordinario per complessità intellettuale e fantasia creativa, in quanto recupera un mito particolare della mitologia classica, quello delle origini, della storia e della caduta della città di Tebe, stabilendo rapporti storico-allusivi tra le tragiche vicende del tempo mitico e specifici avvenimenti della storia recente. Il mito emerge quindi in quella che è la sua caratteristica e dimensione propria di paradigma della vita umana per la particolare capacità che il mondo classico ha avuto, prima con il mito e poi con l’espressione letteraria e filosofica, di rappresentare e di dire tutto quello che, nel bene e nel male, è proprio dell’uomo.
     Il mito, però, per essere rivelatore, deve essere conosciuto a fondo. Per questo Donatella Bisutti correda il suo dire poetico con un ricco e accurato apparato di note in cui le figure e gli eventi mitologici vengono illustrati con riferimenti ai testi degli autori classici che ci hanno permesso di conoscerli e di altri successivi che li hanno approfonditi; si aggiungono, poi, i recuperi di fatti di cronaca, che evidenziano le consonanze con la storia recente.
Tutta la rievocazione della storia di Tebe si articola in scene, sapientemente tratteggiate in modo allusivo, articolandosi in una serie di atti, che danno plasticità al racconto.
La rievocazione della poetessa parte dalle lontane origini della città, da Cadmo che va in cerca della sorella Europa “bellissima / trasportata dal dio sopra i flutti / rapita lontano / nel luogo di un amore proibito e segreto” (p. 13). Di lei si è innamorato Zeus che, per averla, si è trasformato in “bianco toro” e l’ha rapita in quel prato fiorito, sempre insidioso per le fanciulle dei miti greci. Da lei nasce Minosse e ha inizio quella discendenza per cui sorse “una città / di ancora più grandi ignominie: Tebe”, una città che ha nelle sue stesse origini un destino negativo, “città dell’enigma e della guerra” (p. 27).
     Il viaggio di Cadmo prosegue con molti pericoli tra le “onde / azzurro-purpuree mediterranee”, mentre con preveggenza visionaria compaiono “i ventri gonfi degli annegati / nel cercare a nuoto una riva” (p. 15): sono i morti in mare di ieri, di oggi, di sempre, quelli che “si sforzano di intravvedere / le luci lontane di un porto / […] / senza bere né mangiare un ammasso di carne scura / alla deriva” (pp. 15-16). Sono tutti coloro che nella storia, come oggi, fuggono da situazioni di pericolo e di indigenza e cercano di raggiungere condizioni di vita migliori al di là di un mare che troppo spesso, purtroppo, diventa la loro tomba.
     Fin da queste prime vicende ai afferma la particolarità di questa narrazione-rievocazione del mito, intessuta in filigrana delle vicende dell’attualità a sottolineare la persistenza del male nella vita degli uomini, sempre pronto a riapparire in forme e circostanze diverse nella storia, ma sempre apportatore di dolorose sventure.
     Altre “collisioni” tra il mito e il presente avvengono con correlazioni in ambito artistico, così nell’Atto X Iperrealismo – Il Pene in cui “il Maschile di Cadmo” trova la sua piena raffigurazione nell’opera di una donna che la poetessa in nota precisa essere l’ “artista scozzese Gwen Hardie, residente s New York” p. 147): “Lei dipinge il corpo di un uomo / soltanto le natiche e il ventre / solo un pene – solo quello –” (p. 27) che diventa “un pugnale temibile” (p. 27), una “macchina da guerra in riposo” (p. 28).
     Quello di Tebe è un destino di lutti e di sciagure a seguito della maledizione di Pelope, a cui non possono sfuggire Laio, Edipo e Giocasta, nonostante le loro precauzioni e i loro tentativi di modificare il corso degli eventi: anche loro sono come gli uomini e le donne di sempre, di ieri e di oggi: “Giocasta è consapevole di preferire l’abominio / piuttosto che rinunciare al piacere” (p. 34) ed è come una qualunque donna che “si tagliò le vene” con un “coltello d’oro” che “aveva rubato / in una villa sulla spiaggia di Los Angeles / dove rifaceva i letti e lavava i pavimenti” (p. 37).
     Il poema procede in questo sempre ardito gioco di contrappunto tra passato e presente fino alla distruzione di Tebe nel 382 a.C., quando “Già più di due secoli prima / le grandi multinazionali / si erano spartite i latifondi” (p. 81). Tutto avvenne perché “In Beozia da tempo / non pioveva così incessantemente” (ibid.). Ma poi ci fu L’Arcobaleno e “scesero / come da una passerella luminosa / gli dei ridenti di luce / a guardare cos’era successo / al passaggio dell’uragano (p. 82). In seguito Tebe, come succede nelle città del recente passato e di oggi, “mentre tutti ballavamo Chopin / a un ritmo rock / bevendo campari e vodka” (p. 87) “per l’ennesima volta / veniva rasa al suolo / con bombardamenti a tappeto” (ibid.).
     Agli uomini restava solo la Bellezza del Giardino Incantato ma “venne un giorno un gigante” (p. 88) “Egli era la Violenza” (p. 89) che credette di distruggerla ma non vi riuscì. Così poté nascere La Città Nuova in cui Gli Schiavi, “scaricati da vecchi furgoni / […] / come animali portati al macello”, “stanno piegati sui campi / a raccogliere i frutti sacri della terra” (p. 93). Tutto fu diverso in questa nuova Tebe, simbolo delle moderne città del mondo: “venne un tempo / in cui l’acqua cessò di essere sacra. / L’acqua fu usata e sprecata / sporcata e gettata” (p. 97) e “Molti abitanti dei villaggi, / i più poveri, / migrarono attraverso il deserto / inseguendo il miraggio di una fonte (pp. 97-98). Ad imporsi furono Il Comandante e l’Impero che portarono Tebe ad essere “rasa al suolo” (p. 100), ma poi si scoprì L’Oro Nero, “un liquido scuro e vischioso / [che] a volte sgorga e si infiamma” (p. 101). A rovinare la vita degli abitanti di Tebe fu Il Cibo, quando iniziarono a onorare “Adefagìa, dea dell’ingordigia” (p. 103), per cui “mangiavano e ingrassavano / quasi tutti obesi, / quando camminavano / il loro ventre sopravanzava / il loro naso” (p. 105). E ci furono Stragi e dolori di Madri, ma a determinare l’annientamento della città furono I Rifiuti di Tebe che diventavano sempre di più, tanto che “formavano ormai una muraglia / che cingeva Tebe da ogni lato” (p. 117), “Finché un giorno Tebe, divenuta un’enorme discarica, / franò, seppellendo se stessa / nei suoi stessi rifiuti. / E la Terra, / finalmente, / cominciò a essere purificata” (p. 119).
     Ma il poema non si conclude con questa catastrofica visione profetica allusiva della nostra realtà.
     Anche se “Non ci sono più eroi / non c’è più neanche l’uomo” (p. 126), non saranno Gli Scienziati, a salvare il mondo, anche se pensano che “Dio ha fallito clamorosamente” (p. 131), in quanto la prospettiva della poetessa è nel Ritorno degli Dei, che agli uomini appaiono qualcosa di “disgustosamente dolce” (p. 136), ma che piace ai bambini nella loro fantasia aperta al futuro.
     Così si conclude questo poema di Donatella Bisutti, opera di alte e profonde valenze etiche, in cui le tematiche antiche diventano specchio e monito della nostra realtà, condotto con leggerezza e ironia in un susseguirsi di originalità creativa con versi di grande partecipazione emotiva per la consapevole attenzione alle esperienze umane e per l’alta considerazione della poesia, in quanto i poeti devono mirare alla verità, non essere coloro che “si baloccano con le parole” (p. 129).

DONATELLA BISUTTI, Erano le ombre degli eroi, Bagno a Ripoli (FI), Passigli Editore, 2023, pp. 200, € 19,50.