IL GATTO CERTOSINO è un'Associazione Culturale attiva a Genova dal 2009 che si occupa prevalentemente di letteratura e che ha come obiettivo la promozione della lettura. Il nome è un omaggio ai tanti gatti certosini che nel corso dei secoli hanno tenuto libere dai topi le biblioteche dei monaci certosini e di tanti altri amanti dei libri e della lettura, impedendo che molti codici, documenti e libri andassero persi. Blog precedente: https://ilgattocertosino.wordpress.com
lunedì 21 dicembre 2020
domenica 15 novembre 2020
L'ANGELO SEMINATORE
Una lettura che colpisce
Angelo e Samuele
sempre in noi e con noi
Esternazioni e considerazioni
personali e senza pretese
a cura di Benito Poggio
Autori: Isa Morando & Vito Ugo L’Episcopo
Titolo: L’Angelo seminatore
dedicato ad Angelo Marchese.
Illustrazioni: Disegni di Nanni Perazzo.
Editore: Città del silenzio, Genova
*Sparse riflessioni a carattere generale
La presente lettura – non so se portata avanti da “lettore molto compiacente / – o
forse, ancora più, molto paziente” (p. 47) – l’ho percorsa come ininterrotto colloquio
d’anime e, lo devo ammettere con sincerità, mi ha colpito duro, senza mai attenuare
una certa qual forma di invadenza in me: nella mia mente e nel mio cuore.
Sì, l’importante opera-a-due è un lavoro di impegno sodo e solidale che mi ha
colpito nel profondo perché il prezioso ordito in poesia e in prosa dei due autori, Isa
Morando e Vito Ugo L’Episcopo, sia pure con diversa mano creativa e con differente
empito lirico, ha saputo con forza e senza infingimenti coagularsi approfonditamente,
esprimendole per di più “in veritate mentis ac etiam in veritate cordis”, attorno a
narrazioni e conversazioni, divagazioni e temi lirici tutti connotati da lente e meditate
estrinsecazioni e improvvise e subitanee epifanie.
In senso lato l’intesa espositiva e il modus cogitandi – dischiusi non solo in poesia e
in prosa, ma anche in realtà e in immaginazione – dei due poeti si diffondono, a mio
avviso, alla volta di territori poietici (vale a significare nell’ambito di una creatività
onnicomprensiva), densi di novità e nel contempo sorprendenti.
E tutto ciò proprio grazie al loro pensiero – sempre e ovunque – intriso di forza e di
convinzione: a dire un pensiero forte nell’emanazione dei loro vivi e vitali mondi
interiori connessi sempre all’esistente di ieri e di oggi, e che mai, e per nessuna
ragione, si fa e decade relativisticamente a pensiero debole.
Le due voci, pur nella dissimiglianza lirico-espressiva e nell’alternanza di tonalità
nelle prose, dedicano in piena concordia al collega e maestro Angelo Marchese e
cantano all’unisono foscolianamente (Dei sepolcri, v. 32-33) “l’amico estinto / e
l’estinto con noi” (p. 88) in un lancinante ricordo nel vigesimo (2000-2020) della sua
scomparsa in quella catulliana “nox … perpetua una dormienda” (Carme V), detta dal
rinomato latinista (colombino e normalista) Franco Caviglia (1940-2016) “una notte
soltanto da dormire, infinita” (Catullo, Poesie, Laterza).
Già “al confine sconosciuto” (p. 97), identificato nell’amletica “undiscover’d
country / from whose bourn no traveller returns”, Angelo Marchese qui appare come
«L’angelo seminatore», nel “dopo / che ci aspetta in silenzio, senza fine” (p. 39) e,
idealmente accomunandosi, comprende anche il tragico richiamo ai sogni infranti
suggeriti in «Il ponte di Samuele», un bambino di otto anni che sul “ponte di
cristallo” sta “correndo tra i bagliori della luce” (p. 104). come lo indica, ispirato, il
poeta Giuseppe Conte.
Entrambe le voci si esprimono verso chi è stato apprezzato e benvoluto senza
prevaricazione dell’una sull’altra, cariche e concentrate come sono in emozioni forti e
inquietudini divaricate.
A mio sentire, nel suo complesso e nella sua complessità, l’ampio potenziale liricoespressivo
si rivela sensibile ma non sentimentale nel cerchio delle poesie e delle
prose che fanno capo alla Morando; disincantato ma pregnante nel campo dei testi di
L’Episcopo, vigorosamente martellati con insolita veemenza in poesia e in prosa,
preceduti dall’amichevole e affettuosa introduzione (che richiamerò anche più oltre)
della stessa Morando, cui segue una scelta di composizioni da sei-sillogi-sei: pure, in
entrambi, tale potenziale lirico-espressivo si attiva e incanta da dentro, mai
dall’esterno o dall’alto.
...La liricità, in senso proprio, domina gli animi dei due autori ché nei loro versi si
dicono e spiccano fatti e verità onnicomprensive, non mai per metafora ma “come
ditta dentro” nella loro evidente e determinata corporeità e nel loro effettivo e
tangibile attaccamento alla vita.
Come filo conduttore al centro focale dell’opera, così io reputo, stagliano (rifiuto
sempre il “si” ch’io ritengo superfluo ed errato) Angelo, “il messaggero seminatore”
e Samuele, “il suo nome è Dio”: due figure vive e reali, fattesi immaginifiche
nell’oltrevita, ma che hanno vissuto entrambe tra noi e con noi: due figure oggi
apparentemente labili e pur persistenti nella loro esistenza conclusasi solo sulla terra,
non nel cuore e nell’anima di Anna, non nei cuori e nelle anime di noi tutti.
In apparente distanza giacché in realtà fra loro v’è vicinanza e complicità d’intenti,
i due autori, uniti da un r/esistente filo in/visibile e im/materiale, si lasciano andare e
coinvolgere in un intenso e prolungato colloquio di poesie, e anche di prose, che si fa
incessante e continuo, pertinente e commosso “duologo” attraverso il quale scorrono,
strettamente e intensamente, fiumi di versi nitidi, di espressioni icastiche, di pensieri
eloquenti, di concetti efficaci.
E poesie e prose fra loro correlate finiscono per fare di quest’opera – e non paia
iperbolica o enfatica esagerazione – una sorta di rinnovata, e oserei dire aggiornata,
«Vita nova» consegnata al nostro tempo come rivisitazione delle vicende di Angelo e
di Simone, disseminata di versi, pensieri, riflessioni, commenti connessi a entrambi.
...Se quella dantesca, come tutt’uno, contava su un unico autore, qui confluiscono e si
alternano, ma non si contrappongono, due identità e due autori nei loro specifici
mondi: Isa Morando (pp. 17-109) e Vito Ugo L’Episcopo (pp. 111-168).
Suddivise in due campi ispirate liriche e prose distintamente composte dai due
autori, inanellate e assemblate in un unum concettuale, si susseguono in tempi di
preciso riordino, appunto in fasi di pertinente ed esegetico commento da esse
scaturito e ad esse collegato.
...Nelle liriche dell’una e dell’altro si dà costantemente ragione della vita nei suoi più
felici momenti e più fecondi incontri conoscitivi e di lunga durata, nei suoi più
disparati contorni e nei suoi plurimi accadimenti; ma si vuol dare altresì ragione di
cause e princìpi, di significati e contenuti: il tutto, per la Morando, attraverso una
fervida alternanza di poesie e prose; per L’Episcopo, prevalentemente in dettami di
versi ossessionati nella loro cadenza e in due testi in prosa di una qualche crudezza:
entrambi gli autori evidenziano elevata maturazione interiore e appassionata
ricchezza del dire e del sentire.
Il libro in questione chiarisce un procedimento, a volte semplice e immediato, ma
che risulta armonico e ben congegnato nel suo vivo tessuto articolato, pur se a vari
livelli di lettura esegetica e di decodifica interpretativa: più tenuta alle forme
classiche del passato e del presente nella Morando, che rievoca e spazia dall’arte, alla
letteratura, alla filosofia, al teatro, al cinema et al.; più evoluta e involuta, come
“l’ombra che di ciò che fu e sarà” (p. 164) in considerazioni art-oniriche di presa di
coscienza, di giustificata contestazione e di, così mi pare, contenuta disperazione in
L’Episcopo.
Certamente costruzione e decostruzione dell’opera si basano su un’elaborazione
tanto meditata, interiorizzata e partecipata quanto insolitamente disincantata, rapita e
trasognata, ma senza dubbio sono inizialmente raccordate, quasi in un duetto di
timbro e tenore musicali, dalla fervente ouverture “Per Isa. Dalla vita semplice” (p.
15) che L’Episcopo dedica alla Morando, ove l’incipit proclama e sanziona “Poesia è
chi siamo” e l’explicit attesta alla dedicataria lo specifico, perentorio e acriptico status
che non ammette replica: “Isa è Poeta”; differente il sapore dell’ouverture “Ecco mio
padre… l’ultimo a destra della prima fila…” (p. 115) che la Morando elabora in
dedica a L’Episcopo: serba chiaramente, e lo si è detto più sopra, un tono piano e
rievocativo e, grazie anche alla storica e originale “foto dei tredici ragazzi” (p. 116)
quasi diciottenni, ferma il tempo, come suggerisce la Morando, “per poterlo fissare
per sempre in un’immagine” (ib.), prima che, trasformate in vittime sacrali,
l’imminente, mostruoso e violento moloch della guerra li fagociti e se ne appropri
senza alcuna pietà.
*Sporadici rilievi ed episodiche postille all’interno dell’opera
*Ci tengo a puntualizzare che mi accosto alla duplice partizione morandiana di «A
margine. Frammenti di scrittura (2019)» con la riguardosa decenza da critico alquanto
dimesso qual sono (nullo se raffrontato con l’amico e maestro Angelo) e perciò
conscio della personale pochezza e dei propri limiti nel pronunciarsi sugli altrui
lavori.
Qui la raccolta si snoda in sedici composizioni cinte, e quasi accerchiate, da un
pensoso corredo di prose dallo stile puro, pacato e piacevole, fattesi commenti o
conversazioni, resoconti o descrizioni, o infine assumendo andamento e tonalità di
amicali lettere indirizzate ad Angelo, tese a svelare e divulgare il sapore di una
poetica innervata a spontanei richiami di vita, di intensa e prolungata amicizia con lui
e a naturali estesi rimandi culturali, frutto, sì, di frequentazioni di colleganza e
d’amicizia ad ampio raggio con persona cui “tanto nomine nullum par elogium”, ma
anche di acquisizioni personali e interiorizzate nel campo professionale della docenza
(“la mitica terza E 1972-73”, pp. 108-9) e di costanti approfondimenti su autori
protagonisti non solo del suo mai dimenticato mondo classico, ma anche del mondo
passato più recente, del mondo moderno e del mondo contemporaneo in lei
connaturati.
Non poteva non essere – tratto dal Libro V/170 di quella insondabile miniera che è
l’“Antologia Palatina” – che con Nòsside di Locri l’avvio del raffinato e frastagliato
cammino, poetessa quella – si tramanda – “autrice di canti lirici densi di erotismo” e
per la quale, nelle parole del filologo classico e grecista Guido Paduano, “Niente è
più dolce di amore”.
Anche se a primo intuito non pare, il salto da Nòsside all’amico e poeta Giuseppe
Conte, anch’egli, come nel film di J. Losey, considerato “Messaggero d’amore” (p.
21), così come ai successivi incontri con i tanti personaggi della cultura e dell’arte qui
ricordati, è davvero logico e concettualmente molto breve.
E tra i numerosi amati autori qui citati – troppo numerosi davvero per elencarli tutti
– perché incontrati, studiati e amati non poteva mancare Dante: il Dante particolare
dell’Inferno, quello che “rovinava in basso loco” (p. 55) come capita nei sogni a Isa
Morando.
*Il mio personale e inatteso impatto con gli agili e fluidi versi che martellano in «Dei
solchi e dei passi (antologia del fiume Bisagno)» e marcano e rimarcano “il pianto
senza tempo / Dell’essere qui adesso” (p. 122) e le due prose “Sintassi del morire #2”
(che m’è parsa la trama di “Psycho” riletta al contrario) e “Sintassi del morire #3” (p.
158-159) di Vito Ugo L’Episcopo, già “carissimo ex alunno del Colombo e di Angelo
Marchese” (p. 86), mi hanno in parte sorpreso col loro “suono di ghiaccio” (p. 127).
E l’indelebile scia del suo Maestro si può sommariamente percepire in alcuni dei
risoluti e incisivi versi di L’Episcopo “come l’onda / lasciamo una tenue / risacca di
noi” (p. 129) in cui, mi sembra, è stimolato a inseguire quelli di Marchese “sconfitti,
rassegnati, / alla risacca della vita” (p. 171).
Ma in L’Episcopo incontriamo anche un inatteso e vivo “sole pittore d’ombre” (p.
130), mentre in lui anti-dannunzianamente non è la pioggia che cade sui ecc. ecc., ma
è “il tempo [che] corre / sulle…/ sulla…/ sui…/ sul…” (p. 134); e poi
capronianamente una salsedinosa “Genova” (p. 135) che “respira da lontano” (ib.),
non da Castelletto, ma “Dal Biscione” (ib.) che stende “a braccio sulla città / un
manto morbido e scuro” (ib.) e dove con sirenica melodia “le vele sorseggiano
l’acqua salata” (p. 167).
E su tutto, quasi “sogno non-sogno” (p.140), “ritorna il suono muto del silenzio” (p.
139) che “è un canto disperato” (ib.), e con disperazione chiude il poeta: “non saprò
mai / la fine della storia” (p. 168).
*A questo punto è il caso di ricordare che “finis coronat opus” con l’ultimo canto
«Resisti»: un titolo che per Angelo Marchese, qui poeta vero come il suo Montale et
al., altro non è apparentemente che “frusta parola” (p. 171), ma nel breve commento
introduttivo è correttamente e con nobile intuizione definito “sublime eredità morale
per noi tutti” (ib.).
E, se pure il critico-poeta abbia composto questo lungo canto e meditato recitativo
quasi mezzo secolo fa, si deve ammettere ch’esso conserva alla nostra odierna lettura
tutta la penetrante e acuta profondità concettuale di cui lui, “l’Angelo seminatore”,
era capace.
L’ha indirizzato all’uomo, cioè a tutti e a ciascuno di noi, invocandoci “o
compagno di strada” (ib.) e all’uomo, a tutti e a ciascuno di noi l’invito “resisti” è
ripetuto insistentemente, e per ben dodici volte: una volta a chiusura della prima
sezione, ben dieci volte nella seconda sezione e una volta, ma con una particolare vis
riepilogativa, come chiusa a puntello dell’intero testo.
… L’ho sempre letta questa composizione-messaggio come vera e propria “enciclica
laica” per gli inviti comportamentali virtuosi e per le innegabili verità di evangelico
sapore che espone oltre che per la validità in sé che supera il tempo e si situa al di
sopra dei tempi.
Basti, tra tutti, il messaggio permanente da “l’Angelo seminatore” gridato con
inusuale foga nel verso “C’è la fame, la guerra, l’ingiustizia nel mondo” (p. 173) per
avallare l’intero contenuto e sancire con lui, l’autore Angelo Marchese, quella validità
che supera qualsiasi analisi e dà ostinata e persistente efficacia al suo non effimero
“resisti” (pp. 1711,17210, 1741).
*Pregevoli, suggestivi e delicati i disegni di Nanni Perazzo che come sempre
affiancano e da sempre accompagnano i lavori dell’autrice “lungo il sentiero” (p. 16)
del suo impegno a tutto tondo, dando concretezza non solo ai suoi versi e arricchendo
indubbiamente la leggibilità dei suoi testi.
E nel porre la parola fine a questa mia personale lettura, m’è ritornato alla mente
quanto lessi una volta in una lettera alla sua Giulia (i.e. Julia Schucht, 1923-1937)
dell’austero studioso Antonio Gramsci (1891-1937): “mi ripugna scrivere le solite
vacuità” (Lettere dal carcere, 144): ebbene mi auguro proprio di non esserci incorso
io in questo mio trattatello senza pretese o come delinea Aulo Gellio (Noctes Atticae,
VII, passim) “in questa mia questioncella (declamantiunculam) di duplice
interpretazione” su Isa Morando e Vito Ugo L’Episcopo.
Benito Poggio
sabato 7 novembre 2020
DINA BELLRHAM
Lorenzo Spurio
con la traduzione in italiano della raccolta di poesie Le iguane non mi turbano più ci
fa conoscere una nuova, interessantissima poetessa, la ecuadoriana Dina
Bellrham (1984-2011)
Per Le Mezzelane Editore di Santa Maria Nuova (AN) è uscito in
questi giorni il libro Le iguane non mi
turbano più, una ricca e commentata selezione di poesie di Dina Bellrham,
tradotte dal poeta e critico letterario Lorenzo Spurio in italiano.
L’opera è il frutto di un lavoro di studio, analisi e traduzione
dell’opera poetica della poetessa ecuadoriana Edelina Adriana Beltrán Ramos
(1984-2011), meglio nota con lo pseudonimo di Dina Bellrham, studentessa al
quinto anno di Medicina presso l’Università Statale di Guayaquil (Ecuador), con
la passione per la poesia (era grande appassionata di Alejandra Pizarnik) che
fece parte del gruppo poetico giovanile “Buseta de Papel”. Pubblicò due
raccolte poetiche: Con Plexo de Culpa
(2008) e La Mujer de Helio (2011). Grazie
all’interessamento della famiglia, nella figura della madre Cecibel Ramos e del
critico letterario Siomara España, postumi sono stati pubblicati i volumi Je suis malade (2012) e Inédita Bellrham (2013). Alcune sue
poesie sono state tradotte in inglese e francese su riviste e blog di cultura
mentre questo di Spurio rappresenta il primo libro organico, in una lingua
diversa dallo spagnolo, prodotto su testi della giovane poetessa dello stato
del Guayas.
Tale edizione è stata possibile grazie alla disponibilità e al
consenso della famiglia, nella figura della madre, la signora Cecibel Ramos. A
impreziosire il volume si trova un ampio studio critico preliminare a cura
della poetessa e critico letterario Siomara España, tradotto in italiano dal
curatore dal titolo Dina Bellrham: contemplazione e comparsa, nel quale
si indagano con attenzione le caratteristiche preminenti della poetica della
giovane poetessa.
Come si legge dalla quarta di copertina: «La poesia della Bellrham
è sospesa tra un fosco presentimento della morte – quasi un dialogo continuo
con l’oltretomba – e una tensione amorosa per la vita, la famiglia e la
quotidianità dei giorni della quale, pure, non manca di mettere in luce
idiosincrasie, violenze e ingiustizie diffuse. La critica ha parlato di una
sorta di nuovo Barocco per la sua poesia dove coesistono terminologie
specialistiche della Medicina e squarci visionari che fanno pensare al più puro
surrealismo. Entrare in una poetica così magmatica e a tratti scivolosa per
cercarne di dare una versione nella nostra lingua non è compito semplice, dal
momento che la poetessa coniò – come il critico Siomara España annota nello
studio preliminare – un suo codice linguistico particolarissimo, inedito,
personale e multi-stratificato. Eppure è un tentativo sentito (e in qualche
modo doveroso) frutto di quella “chiamata” insondabile che non si è potuto
eludere».
Le iguane non mi turbano più
Le iguane non mi turbano più:
pensavo alla loro coda
e al mio collo
e alla morte.
Però una di esse mi sorrideva
-i gringo (117) sicuramente pensavano alla giunga-
(ma era solo un parco)-
E non seppi (118) [più] come inghiottire il pianto
e corsi
mentre l’iguana stava inviolata (119)
e il dolore, qui
nella metà del parco
quando l’iguana per [la] prima volta
non volle gettare [la] sua coda.
E corsi
e il dolore, qui
arse (120) tutto lo spazio del fumo
e il sorriso dell’iguana
però fa male (121)
questa fotografia dei gringo
e la loro biancheria istrionica…
Deve essere
questo, che arde
trucioli
in questa foto
e nel sorriso
deve essere
che ogni parte di me
quel giorno si perse
in quel parco.
117 Il termine gringo di acquisizione e uso anche nella nostra lingua, ha un
significato chiaro. In spagnolo esso può stare sia per “straniero” che per
gringo (secondo alcuni, una definizione dispregiativa), ovvero
anglofono in terra sudamericana.
118 Nella versione originale viene usato il presente (Ya no sé) ma dato che i
versi che seguono fanno riferimento a un qualcosa avvenuto nel passato
ho deciso di rendere anche tale forma verbale al passato.
119 Il termine originale, intacta, può far valere diverse accezioni nella nostra
lingua: “intatta” e “inviolata”; quest’ultima sia nel senso di
“indisturbata” che “non oltraggiata”.
120 Anche in questo caso il verbo nell’originale era al presente e si è deciso
di renderlo al passato.
121 L’originale recita duele (verbo doler) che può essere reso con “dolere”,
“far male”, “procurare male”, “far soffrire”.
Dina
Bellrham, pseudonimo di Edelina Adriana Beltrán Ramos, nacque a Milagro, nella
provincia di Guayas, nello stato dell’Ecuador il 6 luglio 1984 ed è morta
suicida a Guayaquil il 27 ottobre del 2011. Studentessa al quinto anno di
Medicina presso l’Università Statale di Guayaquil, con la passione per la
poesia (grande appassionata di Alejandra Pizarnik), ha fatto parte del gruppo
poetico giovanile “Buseta de Papel”. Due le raccolte poetiche pubblicate: Con Plexo de Culpa (2008) e La Mujer de Helio (2011); altri lavori
sono stati pubblicati postumi. Grazie all’interessamento della famiglia, nella
figura della madre Cecibel Ramos e del critico letterario Siomara España,
postumi sono stati pubblicati i volumi Je
suis malade (2012) e Inédita Bellrham
(2013). Alcune sue poesie sono state tradotte in inglese e francese su riviste
e blog di cultura.
Lorenzo Spurio (Jesi, 1985), poeta, scrittore e critico
letterario. Per la poesia ha pubblicato Neoplasie
civili (2014), La testa tra le mani
(2016), Le acque depresse (2016), Tra gli aranci e la menta. Recitativo
dell’assenza per Federico García Lorca (I ediz. 2016; II ediz. 2020) e Pareidolia (2018). Ha curato antologie
poetiche tra cui Convivio in versi. Mappatura
democratica della poesia marchigiana (2016, 2 voll.). Intensa la sua
attività quale critico con la pubblicazione di saggi in rivista e volume,
approfondimenti, prevalentemente sulla letteratura straniera, tra cui le
monografie su Ian McEwan e il volume Cattivi
dentro: dominazione, violenza e deviazione in alcune opere scelte della
letteratura straniera (2018). Si è dedicato anche allo studio della poesia
della sua regione pubblicando Scritti
marchigiani (2017) e La nuova poesia
marchigiana (2019). Tra i suoi principali interessi figura il poeta e
drammaturgo spagnolo Federico García Lorca al quale ha dedicato un ampio saggio
sulla sua opera teatrale, tutt’ora inedito e tiene incontri tematici. Ha
tradotto dallo spagnolo racconti di César Vallejo e di Juan José Millás e una
selezione di poesie di Dina Bellrham confluite in Le iguane non mi turbano più (2020). Su di lui si sono espressi,
tra gli altri, Giorgio Bàrberi Squarotti, Dante Maffia, Corrado Calabrò, Ugo
Piscopo, Nazario Pardini, Antonio Spagnuolo, Sandro Gros-Pietro, Guido Oldani,
Mariella Bettarini, Emerico Giachery e numerosi altri.
mercoledì 14 ottobre 2020
POESIA
Proponiamo ai nostri lettori questa vibrante testimonianza di dedizione e di fedeltà alla scuola, alla cultura, e, in particolare, all'insegnamento della Letteratura da parte del prof. Renato Dellepiane che, con rammarico e malinconia, ma anche con la serenità per aver bene operato, guarda al suo lavoro di docente e di preside nel momento della conclusione.
Natale 2010 - 1 . 1. 2011
All’approssimarsi delle feste, come d’abitudine, invio a tutti i miei auguri più sinceri. Quest’anno non posso non pensare, con un po’ di commozione, che sarà l’ultima volta che lo faccio. Perciò mi sono permesso di “rovinare” una splendida poesia di Giorgio Caproni presentandovi, a mo’ di saluto, questo Congedo, non del viaggiatore ma del preside cerimonioso, dettato unicamente da uno spirito natalizio di grande amicizia con tutti. Spero che questo sia il ricordo che conserveremo reciprocamente, avendo tutti lavorato per il bene dei ragazzi.
Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a portar via i miei libri.
Ormai arriva l’ora
della pensione, ed io so,
son certo, che pochi mesi
precedono il commiato.
Sicuri segni mi dicono,
da quanto mi è stato
comunicato dai capi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.
Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo recato
talvolta, in passato.
Con voi sono stato lieto
questi anni, e molto
vi sono grato, credetemi,
per l’ottima compagnia.
Ancora vorrei collaborare
a lungo con voi: ma sia.
Quale sarà la mia vita
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
dopo, senza più lavorare
mentre il mio occhio già vede,
col pensiero, nel tempo
che ancora rimane
qui nel luogo di lavoro,
la mia nuova condizione.
Chiedo congedo a voi,
senza potermi nascondere,
lieve, una commozione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte,
in ufficio o in Collegio,
così bello confondere
le voci (parlare
scambiandoci pareri)
e tutto quel discutere
di scuola (quel programmare,
per meglio insegnare)
fino a proporre progetti,
che, per le ben note strette,
mai avremmo potuto
realizzare.
Scusate. Son tanti i libri
anche se non serviranno granché;
tanto ch’io mi domando perché
li porti via, e quale
aiuto mi potranno dare
poi, quando li avrò con me.
Ma pure li debbo portare,
non foss’ altro per seguire l’uso:
lasciatemi, vi prego, andare.
Ecco: ora che ho preso
già tanti libri, mi sento
quasi fuori: vogliate scusare.
Dicevo ch’era bello lavorare
insieme. Discutere.
Abbiamo avuto qualche diverbio,
è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo - odiati
su più di un punto e frenati
solo per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.
Congedo a lei, professore
e alla sua profonda dottrina,
talora agli alunni peregrina.
Congedo a lei, signorina
un tempo, e al suo lieve rossore
sul volto, la cui tinta
mite è, credo, finta.
Congedo, o bidello
(o collaboratore) in scuola
ed in cortile un po’monello!
A te, Vicaria, quasi sorella
per tutti questi anni
dico ancora grazie!
E congedo: nelle mani
tue sarà il King domani.
Congedo a voi, assistenti.
ricorderò i momenti insieme
e la vostra simpatia:
mi mancherà, quando sarò via!
Congedo a lei, direttore,
che tiene i cordoni della borsa:
la prego, abbia buon cuore:
per le future spese
non mandi tutti “a quel paese”!
Congedo a voi tutti, professori:
di quanto avete dato
(pur poco avendo in cambio)
davvero vi son grato.
Congedo alla Provincia
e congedo alla Regione,
congedo all’Istruzione
pubblica. Ormai son quasi andato.
Ora che più vicina sento
l’ora del saluto, vi lascio
davvero, colleghi. Addio.
Di questo son certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento
Forse mi ricorderete un poco:
pur criticandomi. Per gioco,
(o forse seriamente…
ma, credete: non fa niente)
a chi prenderà il mio posto,
mostrandosi più “tosto”,
pensando ai miei difetti
(son quelli degli inetti
non usi a comandare,
propensi a perdonare)
direte: “Oh, finalmente
È giunto un competente!”
Tranquilli: non ho risentimento.
Be’, vado. Buon proseguimento
mercoledì 16 settembre 2020
POESIA
UNA FORESTA DI MAGIE
di Franco Zangrilli
Il tempo è una foresta di magie.
La notte si sveglia
e non ci ricorda.
La luna ci ascolta
e parla con una voce d’oro.
L’alba non ci vede
e non sa cosa tocca.
Il giorno è una nuvola muta
e si dissolve negli abissi marini.
lunedì 14 settembre 2020
NOVITÀ CHE VENGONO DAL PASSATO
Rosa Elisa Giangoia
Nella
lunga storia dei ricettari di cucina che non si è mai interrotta dalla Grecia
classica a oggi, vediamo anche aprirsi nuove strade. Infatti in questi ultimi
anni incontriamo una vasta produzione di pubblicazioni con ricette per cani e
gatti. Questo dipende dai consigli dei veterinari che sottolineano l’importanza
di un’alimentazione casalinga, adatta alle specifiche esigenze di ogni animale,
per far crescere sani i nostri animali di compagnia e farli vivere a lungo, ma
anche dalla crescente affezione che sempre più diffusamente e intensamente si
crea nei confronti di cani e gatti, ormai veri componenti della famiglia e
interlocutori privilegiati per molte persone.
Anche noi siamo affezionati, soprattutto ai
gatti, in particolare ai certosini! Questi, però, vanno tenuti sempre un po’ “affamati”,
perché continuino a svolgere la loro importante funzione di tenere le
biblioteche libere dai topi…
Nelle recenti pubblicazioni si inventano
ricette che rispettino il fabbisogno energetico dei singoli animali, in
relazione al loro stile di vita, alla loro età, alla taglia, a eventuali
patologie e ad altre caratteristiche. Vediamo così il diffondersi di
un’alimentazione casalinga, quella che da qualche decennio era stata scartata
per optare per i croccantini e le scatolette di umido, molto più facili da
somministrare e anche più economici.
I molti ricettari per cani e gatti vogliono,
però, anche superare l’antica abitudine di dare agli animali gli scarti della
cucina di casa, a tutto vantaggio di preparazioni che rispettino regole ben
precise e siano rispondenti alle necessità specifiche di ogni singolo animale.
Innanzitutto le materie prime devono essere di buona qualità e cucinate in modo
opportuno, per cui il riso e la pasta vanno cotti a lungo per rendere più
digeribile l’amido, il pasto deve essere ben equilibrato e variato con carni
diverse, pesci e verdure, cotte preferibilmente al vapore, e frutta.
Questi testi ci dimostrano, però, anche che
tutto ritorna e si chiudono i cerchi del tempo con accresciute consapevolezze
scientifiche. Infatti Archestrato di Gela nei suoi Hedyatheia (Poema del buongustaio del
IV secolo a.C. parla di «chi prepara da
mangiare per i gatti», il che ci dimostra che già più di duemila anni fa ci si
occupava di preparare da mangiare per gli animali di casa, come forse qualche
non più giovane lettore ricorda, come me, nonne e zie che cucinavano per gli
animali di casa, anche senza avere libri di ricette, ma con un sapere tramandato
di generazione in generazione che la moderna industria dei cibi pronti ha
rischiato di far scomparire.
Io ricordo bene mia zia Enrica che aveva
diversi gatti a cui era molto affezionata e che ben sovente faceva comprare da me
o da mia cugina Virginia il polmone per i suoi gatti, non osando mandare la
domestica, in quanto lei le diceva, in buon dialetto piemontese: «Madamin, con la curadela as fa na bona mnestra per i christian! Che ij ciat a ciapo ij rat. (Ma signora,
con il polmone si fa una buona minestra per i cristiani! Che i gatti caccino i topi!)».
Tra i tanti ricettari di cucina per cani e
gatti mi è particolarmente piaciuto quello di Paola Paci (Ricette felici per
cani e mici, Genova, Editrice Zona, 2020, pp. 98. € 12), in quanto si sente
che l’autrice è una persona veramente affezionata agli animali. Infatti da anni
si dedica all’assistenza di quelli meno fortunati, occupandosi dell’accoglienza
in rifugi e strutture di soccorso, per avviarli poi all’affido in famiglie che
li amino. Le sue ricette nascono quindi da una lunga esperienza di accudimento,
sono semplici e genuine, adatte ai vari tipi di animali e alle loro diverse
situazioni. Inoltre tra le ricette ci sono anche diverse storie di adozioni di animali
che diventano per i lettori del libro un invito e uno stimolo ad accogliere
cani e gatti nelle proprie case con generosità, ma anche con la fiducia di
trovare dei compagni capaci di rallegrarci e di ricambiare il nostro affetto,
soprattutto se nei loro confronti si adottano i consigli e le raccomandazioni
che Paola Paci ci fornisce nell’ultima sezione del libro.
Tra le tante ricette scelgo quella del
polmone per i gatti, anche se non ricordo come lo cucinasse mia zia Enrica.
Polmone con i piselli
Ingredienti:
150 gr di piselli
congelati, 150 gr di polmone, 50 gr di riso, un cucchiaio di olio di semi, una
carota e una zucchina
Preparazione:
Lavate e cuocete le
verdure in acqua per 30 minuti, scolatele e tritatele finemente. Cuocete il
riso finché è quasi scotto. Tagliate il polmone a pezzettini piccoli e
sbollentatelo per 20 minuti, fino a quando smette di schiumare. Mescolate le
verdure con il riso e il polmone, condite con un cucchiaio di olio e servite
freddo.
giovedì 10 settembre 2020
POESIA
Una poesia di Franco Zangrilli che sceglie di recuperare l'antica tradizione della rima, conferendo a questa tecnica grande efficacia espressiva.
Fuga
Fuggo da me stesso,
per ritrovare me stesso,
non un volto depresso.
Fuggo da un nido insano,
approdo a un mondo vano.
Fuggo animato dalla speranza,
eccomi in un luogo dell’arroganza,
dove tutto non ha importanza,
è un regno dell’ignoranza.
Fuggo senza valigia,
in una giornata grigia,
una nuvola nera là serpeggia.
Fuggo da un mare di fiamme,
e affogo in un lago di gemme.
Il ritorno non è l’eternità,
né l’ostia della carità.
sabato 15 agosto 2020
POESIA
L’ombra
di Franco Zangrilli
In uno spazio newyorkese
nel tardo della notte
cammino assorto,
un libro è il fiore
della compagnia.
Un’ombra sboccia
al mio fianco,
è un prodigio bianco.
Non ha faccia,
ha passi di vetro:
si alza,
si abbassa,
si stira,
si allarga,
saltella qua e là.
Ha sguardi nostalgici,
non so cosa dicono.
Sembra un serpente,
si gira ed è un diavolo,
si inginocchia ed è un angelo.
Non so da dove viene,
non so cosa vuole,
non so perché esiste.
Nel sogno vedo che mi molesta
e un soffio la calpesta.
Non so se io sono ancora io.
Una fata mi legge la mano.
mercoledì 15 luglio 2020
POESIA
Franco Zangrilli, in un rapido susseguirsi di versi fortemente icastici, con stoccata finale, esprime il sentire critico di chi vive in USA, spettatore di conflitti, tensioni e ingiustizie.
Black lives matter
tu genio dell’analfabetismo