Rosa Elisa Giangoia
Primo Levi ha avuto la ventura di un grande successo con il suo primo romanzo Se questo è un uomo (1947) che l’ha collocato al di sopra di tutti gli altri autori di testi memorialistici sull’esperienza dei campi di concentramento nazisti (Giuliana Fiorentino Tedeschi, Alba Valech Capozzi, Frida Misul, Luciana Nissim Momigliano e Liana Millu). Per questo si afferma nel canone scolastico del nostro paese, ma la notorietà del primo libro e del successivo La tregua (1962) lo confina nell’ambito della memorialistica della shoah, limitando il suo riconoscimento come scrittore di ampia facoltà fantastica e creativa, come attesta la sua vasta produzione di racconti.
Per questo è molto interessante e importante il recente saggio critico Spazi neofantastici. Racconti di Primo Levi di Franco Zangrilli che, partendo dalla più ampia ottica del suo osservatorio newyorkese e alla luce della sua solida conoscenza e consuetudine critica con molti tra i maggiori autori italiani novecenteschi (D’Annunzio, Pirandello, Pavese, Landolfi, Sciascia, Bonaviri, Buzzati, Fallaci, Tabucchi, Campailla e tanti altri), analizza la produzione narrativa di Primo Levi per recuperare la sua originalità creativa e mettere in evidenza l’importanza della sua produzione nel panorama letterario italiano del secondo Novecento.
Attraverso un lavoro critico rigoroso, portato avanti con una lettura attenta e puntuale che scandaglia in profondità i testi di Levi, Zangrilli fa emergere un ritratto dello scrittore dai contorni molto più ampi e sfaccettati di quelli della memorialistica, in particolare di un autore capace di leggere il passato e il presente della sua esperienza, trasfigurandolo in modi fantasiosamente significativi, attraverso i quali può esercitare la sua critica e la sua lungimiranza profetica sulle cadute e sulle negatività della condizione umana.
Zangrilli, come enuncia nella Premessa del saggio, si propone di «esaminare i racconti leviani, di valutarne l’enorme geografia neofantastica, di mostrarne come formano l’opera più intricata, riuscita, e maggiore dell’autore, e come lo collocano nel clima dell’avanguardia e del postmodernismo». Partendo da questi intenti l’analisi si snoda in una serie di capitoli in cui i racconti vengono presi in considerazione per affinità tematiche. Il primo è L’orrore della guerra in cui viene messo in luce il fatto che la realtà storica, in particolare quella attraversata dall’autore, diventi spunto per diversi racconti, ma Levi vada oltre la descrizione e la rievocazione, facendo diventare il reale una metafora finalizzata a rappresentare i fatti al di là della fenomenologia storica, quali emblemi della negatività della guerra, della cattiveria umana da cui l’uomo non riesce ad uscire per salvarsi, oltre che dell’impossibilità di mettere ordine nel mondo e dei rischi insiti nella scienza che può diventare, nelle mani dell’uomo, strumento di offesa e di distruzione.
Grande spazio ha nei racconti di Levi la tematica fantascientifica, accuratamente analizzata da Zangrilli nel capitolo Il naturale è innaturale. Lo studioso evidenzia come in questo ambito Levi abbia saputo assumere una particolare connotazione personale, in quanto non rappresenta un futuro migliore per nuove scoperte e acquisizioni, ma piuttosto un mondo contrassegnato dalla negatività di catastrofi, tanto da poter essere considerato un antesignano dell’ecologia, capace di prospettare una nuova etica ambientale.
Ma molti racconti di Levi, come mette in evidenza Zangrilli con le sue acute analisi nel terzo capitolo (I misteri dell’amore), sono incentrati sulle dinamiche psicologiche e comportamentali del sentimento amoroso, sempre misteriosamente inspiegabile, ma determinante in molti casi e in tante occasioni della vita. Per quanto riguarda le capacità di sondare l’individuo da parte di Levi, l’analisi di Zangrilli prosegue nel capitolo successivo (Le crisi identitarie) in cui, attraverso un procedimento metaletterario, sulla base della sua ampia e profonda conoscenza della produzione di molte aree linguistiche, focalizza l’interesse sulla problematica individualità dello scrittore, mettendo in rilievo le spesso difficili dinamiche creative. Zangrilli fa poi emergere la centralità del personaggio nei racconti di Levi nel quinto capitolo (Le tipologie del personaggio). Sono quasi sempre personaggi caratterizzati da comportamenti che contrastano o esulano dalla condotta considerata normale, in quanto si caratterizzano per aspetti alogici ed irrazionali che sovente portano ad avventure surreali in situazione fantastiche. In questi casi più forte si fa il carattere metaforico delle narrazioni di Levi che, infrangendo il muro del naturalismo e venando il suo racconto di ambiguità, ma anche di umorismo, vuole andare oltre il semplice raccontare per evidenziare il carattere enigmatico, molto frequente nella quotidianità dei comportamenti umani.
A caratterizzare Levi come scrittore postmoderno è in modo rilevante il riutilizzo da parte sua di miti, leggende e storie della tradizione classica, medievale e moderna che vengono rielaborati con innovazioni fantasiose in un gioco combinatorio in cui si intrecciano generi letterari diversi. Questo aspetto è particolarmente evidente nei racconti ambientati nel regno animale, analizzati da Zangrilli nell’ultimo capitolo (Le voci strane dello zoo) in cui gli animali diventano figure fortemente significative, capaci di rappresentare gli oscuri aspetti animaleschi dell’uomo, e nello stesso tempo di esprimere la voce critica dell’uomo, indagando e mettendo in evidenza l’impossibilità di sondare fino in fondo i risvolti dell’animo. A questa prospettiva dà maggior vigore la capacità di Levi di creare animali immaginari, spesso risultato di ibridi tra l’uomo e la bestia, funzionali a meglio rappresentare, allontanandosi dalle tipologie della tradizione, gli intenti critici e morali dell’autore.
Levi, però, amplia il suo retroterra d’ispirazione, in quanto prende spunto anche dalle sue esperienze di chimico che lo portano a osservare la natura e a considerare l'impatto della scienza e della tecnica sulla quotidianità, dando vita a originali situazioni narrative. Questo anche per il fatto che la sua concezione della chimica è vitalistica e metamorfica. Si presenta, infatti, come una scienza della manipolazione della materia, in un divenire continuo in cui la materia resiste all'uomo in una lotta senza fine, come l'uomo ha saputo resistere, nonostante tutto, alla manipolazione operata dai nazisti nel campo di concentramento. In questo modo si saldano i due capisaldi della narrativa di Levi.
Dall’analisi che Zangrilli conduce sulla produzione narrativa di Levi viene fuori uno scrittore capace di osservare la realtà con quella razionalità che gli deriva anche dalla sua formazione scientifica, la quale lo porta a indagare sempre pur sapendo che prima o poi ci si troverà di fronte a quell’insondabile che determina la perenne inquietudine dell’uomo.
Zangrilli si sofferma anche sul lessico di Levi che appare sostenuto da una forte capacità di originale invenzione lessicale derivante dal poter attingere a termini scientifici, soprattutto dell’area chimica inerente alla sua formazione culturale e alla sua attività professionale, ma anche a neologismi e a tutta la trazione del vocabolario del meraviglioso.
FRANCO ZANGRILLI, Spazi neofantastici. Racconti di Primo Levi, Pesaro, Metauro Edizioni, 2020, pp. 293, € 22,00.
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