martedì 16 marzo 2021

RECENSIONE


 FRANCO ZANGRILLI

Antonio Franchini, Il vecchio lottatore e altri racconti postmingueiani, Milano, Enne Enne Editore, 2020, pp. 253,  € 17.00


    Da Boccaccio in poi la ricca tradizione novellistica si è rinnovata a tutti i livelli: strutturale, narratologico, formale, tematico, ecc. A ciò hanno contribuito significativamente parecchi scrittori contemporanei. Basterebbe pensare a Pirandello che con un mazzo delle Novelle per un anno crea l’anti-racconto parecchi anni prima di Jorge Luis Borges; a Tozzi che con il raccontino-frammento di Bestie svela il carattere di una poetica che non scinde il mondo immaginario (della letteratura) da quello reale (dell’esistenza di ogni giorno); a prosatori rondisti che con la prosa d’arte hanno dato luce a storie che sono veri e propri petites poèmes en prose, come per esempio fanno notare i Pesci rossi di Emilio Cecchi. E non si può dimenticare il Pavese che nei Dialoghi con Leucò riscrive in chiave postmoderna un fascio di miti classici soprattutto del mondo greco; il Vittorini che in Nome e lagrime stende storielle ermetiche che riguardano temi di varia natura, compreso quello della meta-scrittura; il Bonaviri che ne L’infinito lunare e nelle Novelle saracene presenta racconti mitico-cosmici di una Sicilia trasformata in ombelico dell’universo. Né vanno dimenticati tanti altri scrittori, provenienti da generazioni, da formazioni, e da ispirazioni differenti (Buzzati, Landolfi, Gadda, Cassola, Sciascia, Tabucchi, ecc.) che con originalità si sono dedicati a coltivare i generi del racconto. Questo atteggiamento di rinnovare il racconto vive anche tra gli scrittori postmoderni. Antonio Franchini ne è uno dei più illustri rappresentanti. Lo evidenzia anche Il vecchio lottatore e altri racconti postemingueiani.
    Il testo è composto di nove racconti che vanno dalle venti ad oltre le trenta pagine, e uno va oltre le sessanta pagine. Sono racconti stesi in un arco di tempo piuttosto lungo. Sono racconti che si articolano con una struttura singole. Si avvalgono della narrazione non lineare, della tecnica espositiva dell’andirivieni, della frammentazione, della prolessi e dell’analessi, del micro testo nel macro testo, e dispiegano una portata diacronica e sincronica, centripeta e centrifuga, realistica e fantastica. Quasi ogni racconto dà l’impressione che sia il montaggio di un puzzle, che poi vuol essere uno stratagemma impiegato dall’autore per tenere il lettore impegnato a tessere la sequela delle scene, degli abbozzi, delle forme spezzettate, cioè a mettere insieme i tasselli-fili dell’orditura. Si tratta di una narrazione sperimentale. Essa a volte sembra essere senza connessioni, compie dei salti qua e là, e a un tratto si cuce in una tela armonica. Sovente vuol essere un’affabulazione animata dalla sospensione; dal piglio della divagazione, della digressione, e della elucubrazione; dalle movenze del joyciano stream of unconsciousness; dalle visioni storiche e astoriche, dal discorso sulla meta-scrittura, simbolo dell’arte in generale.
    La prosa di questi racconti si avvale di una lingua laconica, cristallina, e in sostanza la sua semplicità è  pregna di complessità. È ricca dei mezzi antifrastici e aforistico, delle immagini metaforiche e simboliche, dei ripiegamenti filosofici, degli sprazzi lirici. È contrassegnata dai dati autobiografici, dagli aspetti autoreferenziali e ontologici, dagli eventi sportivi, dagli avvenimenti dei ritmi quotidiani, dai risvolti riguardo all’arte dello scrivere, e dal discorso meta-letterario.
    Questa prosa ci mostra un Franchini scrittore postmoderno non solo perché riscrive miti e storie a suo mondo e in un nuovo contenuto, ma anche perché predilige la tecnica di raccontare all’insegna dell’ambiguità, di cimentarsi con i tipi diversi dei giochi diegetici, e eccolo che sfrutta la tecnica del dire non dicendo, dell’affermare una cosa e subito attestarne l’opposto, ed è persino molto abile nel manipolare una pluralità di toni dell’ironia, compresi quelli morali, sarcastici, e dissacratori.
    La maggior parte dei racconti presentano un io narrante-protagonista che è Franchini. E sono popolati da una sterminata folla di personaggi, parecchi appaino figure ritrattistiche e bozzettistiche. Essi in modo magico entrano e scompaiono dall’azione, ci sono quelli che riappaiono con frequenza, e quasi tutti sono la maschera dietro cui si nasconde l’autore, sono il suo alter ego portavoce dei miti personali e collettivi, sono i suoi centomila aspetti pirandelliani adulterati, specie delle sue esperienze di atleta e maestro delle arte marziali, delle sue ossessioni e dei suoi narcisismi, che sono i luoghi comuni degli artisti di ogni campo, per non dire degli scrittori postmoderni che fanno del tutto per apparire in ogni canale mediatico e in quelli dei social media.
    In vari racconti si trattano gli argomenti sociali ed intergenerazionali. Uno di esso si intitola “Le Leonardiadi”. Vi si raffigura un campo sportivo in cui i genitori accompagnano i figlioletti a compiere diversi tipi di gare, e non tutti riescono a trovare un parcheggio: un’azione denotativa di un problema sociale. E ci sono persino genitori che non hanno più l’energia di assistere i propri figli: “Ah, io quest’anno mi do il cambio con mia moglie, o oggi a me, domani a te! Non ho più il fisico per reggere tutti e due i giorni” (13). Infatti l’autore approfondisce il rapporto non sempre facile tra il mondo infantile e il mondo adulto, rapporto in cui si inseriscono motivi memoriali e temporali: “gli adulti ripetono spesso che mai tornerebbero all’infanzia, ma se i piccoli sapessero quando poco gli adulti sono capaci di discernere, non vedrebbero nel crescere alcun guadagno […] Questi giovani felici sfilano insieme agli anziani, ai vecchi, ai delusi e agli svuotati” (19, 23). Egli inscrive con uno stile allegorico che tutte le gare e tutte le attività agonistiche rappresentano la vita giornaliera dei tempi attuali composta di affannosi ritmi e movimenti, di frenetiche corse e lotte, e come se fosse dominata dalla legge della giungla: “i bambini di prima elementare [...], arrivavano disorientati e sfiniti, con grandi distacchi tra i gruppi e tra i singoli, come si fossero persi e non trovassero più la casa” (14). Nel campo sportivo c’è anche un parco in cui vecchi e giovani vanno in bici, corrono, camminano, si fermano a un bar a parlare di tanto cose e persino del malfunzionamento della sanità; ci sono quelli che si rinchiudono dentro una “caverna” a rifocillarsi, una scena che sembra demitizzare a una società arci-cibata.
    È davvero impressionate come in questo racconto, e in tanti altri della raccolta, Franchi si sbizzarrisca a portare a galla parecchi ricordi e i problemi che si stabiliscono tra i genitori e i figli. Lo fa pure combinando giochi di specchi, non solo identitari e metamorfici: allora si ha il figlio che rispecchia anche le fragilità del padre; il padre che ritorna fanciullo e il figlio bambino che diventa padre.
    In un gruppo di racconti Franchini rivive i miti letterari e li scrive con freschezza ed originalità, li ripresenta rinnovellati creando l’impressione che i lettori stiano a leggerli per la prima volta. E tra i tanti scrittori si fa dominante il mitologema di Hemingway. Nel racconto “Il suicidio dell’indiano” Franchini si rivela “un critico fantastico”, per dirla con Pirandello, riscrivendo il racconto hemingwayano “Camp di Marte”. Egli innanzitutto in maniera sintetica ne riassume la trama e discute del protagonista Nick Adams che “si taglia la gola perché non sopporta il dolore della moglie che partorisce” (179). Poi si chiede perché l’indiano si uccide e perché Hemingway non spiega il gesto estremo di Nick. Franchini imbastisce un discorso inquisitivo, dialettico, immaginoso. E si evince che tutto diventa un suo impellente bisogno di capire gli eventi enigmatici dell’individuo ed i riti di una cultura esotica, insomma di comprendere l’impossibile.
    Nel racconto “Non ho scopato con Heminway” Franchini figura come un rappresentante di una casa editrice che sta pubblicando un’autobiografia di una loro scrittrice. Un giorno egli si reca a casa della scrittrice con lo scopo di scegliere insieme delle foto da mettere nel testo autobiografico. Qui trova il marito della scrittrice e apprende che i coniugi si sono separati, dopo trent’anni di matrimonio. Grazie anche all’ironia sottile e pungente, il dialogo, evolvendosi, mette in risalto che i coniugi si sono separati perché a vicenda si tradivano e ora a vicenda si accusano, onde si impone la parlata della scrittrice: “quelle gli facevano i pompini, ecco perché se n’è andato […] E adesso tu vorrai sapere come tutti, se io ho scopato con Hemingway, ma io non ho scopato con Hemingway, sono sola stata sua amica” (170).
    Il vecchio lottatore vuol essere una raccolta di racconti affascinanti, tesi a rivelare il tragico e il comico, il pianto e il riso, e il messaggio che la vita è un mistero e come tale si deve vivere.














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