mercoledì 15 luglio 2020

POESIA


Franco Zangrilli, in un rapido susseguirsi di versi fortemente icastici, con stoccata finale, esprime il sentire critico di chi vive in USA, spettatore di conflitti, tensioni e ingiustizie.











Black lives matter

il sogno americano
è  un dolce veleno
è un fiume di sangue

nel sogno continuano
a parlare i miei avi
seppelliti nei cimiteri del mondo

i fratelli afro-americani
sono anima della mia anima
sono sangue del mio sangue

tu re trombettiere della verità
tu genio dell’analfabetismo
tu seduto in una poltrona d’oro

non vedi nella luce delle cose
né un popolo smarrito

 

lunedì 13 luglio 2020

RICORDO

Con questo fantasioso ed espressivo dipinto e con un significativo testo poetico Massimo Colella vuol ricordare e rendere omaggio a GIUSEPPE MAGALDI, eccezionale organizzatore di eventi culturali a Forio d'Ischia, deceduto pochi giorni fa, prematuramente a 46 anni, a causa di errori medici.


PER GIUSEPPE MAGALDI


Questa tua assenza mi uccide.

Ti sento nell'aria - sei qui,
ma non ci sei. Sei al Torrione,
sei il Torrione.
Identificarti co
no, non è innaturale,
lo è la tua morte, invece,
di te che sei vita, energia, sorriso, forza, amicizia, entusiasmo
sornione, memoria, pensiero e scrittura, spontanea resilienza,
ironia, ascolto, condivisione, creatività, desiderio di essere ascoltato,
comunità, passione civile, rassicurazione, apertura, fiducia, progettualità...
Allora? Mi si stringe il cuore
a pensarti, a mettermi nei tuoi panni,
a rivivere le ultime ore: falso miraggio
di salvezza e poi? Silenzio,
profondo sonno indotto,
vita e sogni interrotti senza preavviso,
senza coscienza...
Stai ancora attendendo di risvegliarti.
La tua anima è bloccata
e ancora programma i futuri lunghissimi anni
di eventi, soddisfazioni, cordialità, successi,
banchetti di cultura e felicità
che ti aspettavano,
che ti spettavano,
che ci spettavano...
Mi fa rabbrividire
il pensiero di te
(corpo e anima)
nullificato,
ridotto
a manciata di nuda cenere,
minuscola urna.
E non c'è illusione che tenga,
ora che la vita è incolore.


MASSIMO COLELLA




 


domenica 12 luglio 2020

RECENSIONE


Franco Zangrilli
City University of New York, Baruch College


            Nel panorama letterario dei nostri tempi Rosa Elisa Giangoia è un personaggio di gran rilievo. Attraverso gli anni ha pubblicato testi teatrali, sillogi poetici, saggi di vari natura, e quattro romanzi. Tanti scrittori e scrittrici del nostro paese (Aldo Putignano, Max Gobbo, Francesca Bardi, ecc.), come la Giangoia, sono ignorati delle strategie delle potenti casi editrice che pubblicano scrittori di poco valore, del trash dei best seller, ma che portano incassi lucrosi. E sono le piccole case editrici che negli ultimi decenni pubblicano i grandi scrittori
            L’ultimo romanzo della Giangoia, Febe. Dal tempo all’eterno, è composto di diciannove capitoli. Narrato in terza persona, dispiega una prosa nitida, laconica, scorrevole, fitta di sprazzi poetici, e si avvale di un andamento con tagli disparati: saggistico, filosofico, storico, antropologico, fantastico, ecc. Si evolve linearmente, tranne qua e là dei flashbacks e dei flashfowards; svela la disinvolta maestria dei montaggi, degli spostamenti, dei colpi di scene, per non dire della tecnica del racconto nel racconto; è ambientato in vari luoghi di un mondo antico, in particolare a Corinto. Sembra un mosaico enciclopedico di svariate mitologie, soprattutto quelle del mondo greco, biblico, ebraico. Persino quando utilizza e mescola un fascio di miti, di leggende e di favole di culture eterogene, tutto vuol essere in linea con la poetica della riscrittura che è l’anima della letteratura postmoderna. Paradossalmente si tratta di una riscrittura che, compiendo una rottura con la tradizione, ricupera la tradizione, la rinfresca, la rivitalizza, la rinnova, e presenta al lettore storie mitiche dandogli l’impressione che le legga per la prima volta.
            La penna della scrittrice ha una virtù particolare nel ricamare una trama imbevuta di metafore, di allegorie e di simboli destinati a enfatizzare come l’uomo si comporta nel seno storico, come egli cambi solo se vive in funzione di una speranza, di un ideale, di un mito religioso o cristiano o pagano o di altra fede. Nel tessuto narrativo l’eterno mito evangelico di Gesù è incarnato in vari personaggi, ma soprattutto nell’icona della protagonista Febe.
            Con Febe la scrittrice restituisce l’incarnazione di un Gesù che parla all’uomo postmoderno, di una creatura eroica tutta dedicata al prossimo, quasi annullando se stessa, di una figura leggendaria simili a  Mohandas Karamchand Gandhi ed a Santa Teresa di Calcutta. Donna ricca e potente, Febe è una santa matrice di miracoli, tutta portata a darsi con l’animo altruistico, a vivere aiutando i poveri e i malati. E quando l’autrice descrive come ella trasforma la sua grande casa in sorta di ospizio per i senza tetto e per gli infermi, sembra che stia riscrivendo la rappresentazione manzoniana di Fra’ Cristoforo nel Lazzaretto. La vena fantastica, che serpeggia in una serie di episodi e incluso quello delle statue che si animano, si fa dominante sia con la rappresentazione di Febe trasformata in una sorta di medium che dialoga con gli spiriti dell’aldilà, con gli dèi dell’Olimpo e con quelli dell’Infero, sia con l’affabulazione degli dèi che si trasfigurano in umani e gli umani che si trasformano in dèi; invece Demetra è al contempo divina e umana. Nella diegesi queste ed altre metamorfosi mostrano la tempra ovidiana, gotica, kafkiana. E si suggerisce che nessuna metamorfosi riesce a soddisfare l’animo inquieto di Febe: “il mondo degli dèi a cui si era accostata le era sembrato ristretto, meschino, egoista, mentre sentiva di aver bisogno di qualcosa di più… Il mondo terreno, ma neppure quello divino, su cui si era affacciata, non le bastava per trovare il conforto e le certezze di cui il suo cuore aveva bisogno” (36). Le sue inquietudini nascono dai ripiegamenti sulla felicità, sulla morte, sull’eterno; dai ricordi del marito defunto e dalla misteriosa scomparsa del figlio; dalle sue fantasticherie “senza fine” (39); dalle sue riflessione sui problemi della donna, resa dall’autrice una voce neofemminista anche quando parla del femminicidio, dell’infanticidio, dell’aborto.
            Tuttavia Febe è sollevata quando in un tempio ode un sermone di Paolo, un ebreo apostolo e messaggero della dottrina di Cristo che, secondo lui, è la “verità” assoluta e la “strada della salvezza” (78); al contempo è un difensore della religione dei suoi avi; narra la storia di come è stato illuminato da Gesù e, come ritiene un drappello di scrittori cattolici contemporanei (Rodolfo Doni, Lugi Santucci, Mario Pomilio, ecc.), ben conosciuti dalla Giangoia, anche per lui la fede è un grande “dono”, la sposa e la vive in tutti i sensi. Febe è tanto ammaliata da questo evento dando la sensazione che abbia incontrato Gesù in carne ed ossa. Parimenti a Poalo, anche Febe lotta con dinamico intento di far conquistare a tutti l’amore di Dio e la vita eterna. E grazie al dono della fede, tutte le sue incertezze si traducono in certezze, nella sicurezza della vita nell’aldilà, e nella speranza di riunirsi al figlio nell’aldiquà o nell’aldilà, speranza che infine riporta magicamente a ritrovarsi con lui a Corinto. Talvolta una sua amica cerca di risvegliarla dal suo modo di essere: “Corinna guardò la sua amica con un’espressione di compassione ed esclamò: «Mi sembri una bambina che crede alla favole!»” (66). Ciononostante Fede è profondamente arroccato sul suo credo in Dio. In molti aspetti Febe e Paolo sono facce della stessa medaglia, entrambi si rivelano paladini impegnati a lottare contro il male, a seminare ed a coltivare i messaggi della comprensione e compassione, della bontà e della fratellanza, insomma dei valori alti della Sacra Scrittura.
            In svariati episodi il romanzo enfatizza, pur con moduli allegorici, le nozioni misteriose del nascere, del vivere, e del morire, insomma il mito eterno del nostro vivere che richiama quello della Fenice; le idee etiche necessarie agli uomini per cambiare lo stile di vita e quindi per salvarsi: “abbiate buone parole per quelli che vi perseguitano. Non rendete a nessuno male per male. Impegnatevi sempre a fare il bene. Vivete in pace con tutti. Non fate le vostre vendette. State sottomessi alle autorità superiori. Amatevi gli uni gli altri” (130). Lo scioglimento della fabula inizia con Febe che, armata di questi e di altri suoi principi, illuminati pure da una epistola di Paolo, si mette in viaggio per andare a Roma, dove non fa altro che divulgarli e dove scopre un ambiente  di una città fantasmatica.
            Con  Febe. Dal tempo all’eterno la Giangoia ci ha regalato uno dei romanzi non solo più fini nell’arricchire la scrittura postmoderna ma anche più avvincenti e più belli degli ultimi tempi.

Rosa Elisa Giangoia, Febe. Dal tempo all’eterno, Roma, Europa Edizioni, 2019, pp. 197, € 15,00.




sabato 11 luglio 2020

POESIA

                                                           Le foglie
L’occhio cosmico degli alberi
ci vede tutti esauriti,
tutti cadere,
anche come le leaves of gress.

Lo scricchiolare delle foglie morte
è il contrasto della vita,
la sinfonia assurda e ripetitiva,
la rinascita della polvere.

Le foglie gioiscono con euforia,
baciare i passi dei fantasmi,
essere seppellite in libri mai letti,
carezzate e risvegliate dalle onde ventose.

È un’altra fine di ottobre
le foglie si radunano in mezzo al bosco,
ora animano il simposio:
riguarda un gigante cieco
che già cammina dentro il mare.
Sa dove va e sa dove arriverà?

                                                 Franco Zangrilli




mercoledì 8 luglio 2020

RECENSIONE


POESIA E VITA

Rosa Elisa Giangoia

Il Viaggio esistenziale di Luigi De Rosa è l’occasione per rileggere tutta l’interessante e piacevole produzione poetica di quest’autore che si snoda in un ininterrotto itinerario creativo dal 1969 ad oggi. Il volume è arricchito dalla Prefazione di Francesco De Nicola (Luigi De Rosa: poesia come diario di un viaggio esistenziale) che definisce la poesia di De Rosa «una ricca mappa, ora suggestiva ora problematica, che segna con la sensibilità della scrittura il diario del viaggio esistenziale» di un autore la cui poesia, in precedenza, il critico aveva definito «affabile e limpida, volta alla sostanza dei sentimenti e delle cose con parole chiare e non banali, senza compiacimenti ma sempre con assoluta sincerità», «nata dalla vita e aperta» al mondo «bello, terribile, / e, come sempre, inaffidabile» (Risveglio veneziano).
A darci la possibilità di comprendere meglio la poesia di De Rosa contribuisce anche la scheda bio-bibliografica in appendice che ci dà conto delle vicende di vita del poeta, in un susseguirsi di trasferimenti in diverse città italiane, molte immagini e suggestioni delle quali si riverberano nelle liriche, come scenario ambientale, nonché dell’ampia produzione e dei numerosi riconoscimenti e premi che gli sono stati assegnati, ma soprattutto è interessante la ricca antologia di giudizi critici che correda il libro e che ci fa ben comprendere come dal primo apprezzamento di un personaggio di grande rilievo letterario come Diego Valeri, in una lettera del 1969, siano sempre venuti aumentando e consolidandosi i giudizi ampiamente elogiativi da parte di figure significative della critica di questo ultimo cinquantennio, come Giorgio Bárberi Squarotti, Maria Luisa Spaziani, Graziella Corsinovi, Renato Dellepiane, Bruno Rombi e tanti altri. Infine anche il poeta fa sentire la sua voce, attraverso un’intervista che mi concesse qualche anno fa.
Dall’insieme di questo volume emerge innanzitutto il costante desiderio di De Rosa di scrivere una poesia che risultasse comprensibile per il lettore, «sulla falsariga di quanto sosteneva il grande Umberto Saba». Da qui, quella sua “personale voce” che deriva «dall’avere sempre dato ascolto alla “verità” interiore, quella verità che vive nell’intimo di ciascuno di noi». Per questo la poesia di De Rosa appare autentica e sincera, nata dal profondo del suo animo, lontana da ogni facile sentimentalismo, senza compiacimenti di astratte e formali ricerche del linguaggio letterario, ma sostenuta da quel rigore morale che traspare dalla leggerezza accattivante delle immagini e che, nello stesso tempo, le innerva di verità di vita e di profonda riflessione esistenziale.
I testi che De Rosa ha scelto dalle sue varie raccolte per comporre questa antologia sono significativi per dimostrare la sua sostanziale fedeltà all’iniziale concezione della poesia, nonché alla poesia stessa. Ma mettono in rilievo anche sviluppi di riflessione e pluralità di ispirazione. Ad arricchire la materia poetica è anche la tematica dell’amore (Il volto di lei durante), presentato con delicata sensualità attraverso la memoria della persona amata, ma anche con letizia esistenziale, offuscata, però, dalla consapevolezza della fugacità del tempo. Alla sfera personale si intrecciano interventi di carattere civile e morale nella successiva raccolta Approdo in Liguria. Questa raccolta testimonia anche il superamento dell’idillio, in un intensificarsi di meditate occasioni di riflessione, ma anche per i momenti gnomici ed epigrammatici che propongono disincantate analisi della società moderna. La Fuga del tempo sembra essere tematica quasi ossessiva per il poeta («Chi ci restituisce i nostri anni migliori, / e i diamanti, e le perle che abbiamo gettato / nel vortice banale del giorno dopo giorno?») che, dopo tanti spostamenti attraverso l’Italia, approda alla consapevolezza che «i luoghi dove fosse possibile / trovare ancora una briciola / di felicità / […] / sono i luoghi nei quali / non sono mai stato».
La vera saggezza, riconosce infine il poeta, è la consapevolezza dei nostri limiti esistenziali e l’accettazione del nostro essere sempre in attesa e in ricerca, in quell’anelito all’infinito che solo la poesia può compiutamente esprimere.

LUIGI DE ROSA, Viaggio esistenziale, Sestri Levante (GE), Gammarò edizioni, 2019, pp. 221, € 18,00.


lunedì 6 luglio 2020

POESIA





























L’acqua

L’acqua è il sangue frizzante,
il mormorio sonoro del fiume,
la voce oscura delle onde marine,
il tic tac del rubinetto insano.

L’acqua è il creato,
il lago soffocato,
il mare amareggiato,
la pioggia che bacia una chioma.

L’acqua è la nuvola passeggiera,
la fontana arsa,
il gustare l’acquolina
di un bacio mai ricevuto,
la matrice delle lacrime
di un cuore di pietra.

Sono io un albero secco,
stanco di attendere.
O una foglia dissetata.

Franco Zangrilli