City
University of New York, Baruch College
Nel panorama letterario dei nostri tempi Rosa Elisa Giangoia è un
personaggio di gran rilievo. Attraverso gli anni ha pubblicato testi teatrali, sillogi
poetici, saggi di vari natura, e quattro romanzi. Tanti scrittori
e scrittrici del nostro paese (Aldo Putignano, Max Gobbo, Francesca Bardi, ecc.),
come la Giangoia, sono ignorati delle strategie delle potenti casi editrice che
pubblicano scrittori di poco valore, del trash
dei best seller, ma che portano
incassi lucrosi. E sono le piccole case editrici che negli ultimi decenni pubblicano i grandi scrittori
L’ultimo
romanzo della Giangoia, Febe. Dal tempo
all’eterno, è composto di diciannove capitoli. Narrato in terza persona,
dispiega una prosa nitida, laconica, scorrevole, fitta di sprazzi poetici, e si
avvale di un andamento con tagli disparati: saggistico, filosofico, storico, antropologico,
fantastico, ecc. Si evolve linearmente, tranne qua e là dei flashbacks e dei flashfowards; svela la disinvolta maestria dei montaggi, degli
spostamenti, dei colpi di scene, per non dire della tecnica del racconto nel
racconto; è ambientato in vari luoghi di un mondo antico, in particolare a
Corinto. Sembra un mosaico enciclopedico di svariate mitologie, soprattutto
quelle del mondo greco, biblico, ebraico. Persino quando utilizza e mescola un
fascio di miti, di leggende e di favole di culture eterogene, tutto vuol essere
in linea con la poetica della riscrittura che è l’anima della letteratura
postmoderna. Paradossalmente si tratta di una riscrittura che, compiendo una
rottura con la tradizione, ricupera la tradizione, la rinfresca, la rivitalizza,
la rinnova, e presenta al lettore storie mitiche dandogli l’impressione che le legga
per la prima volta.
La penna
della scrittrice ha una virtù particolare nel ricamare una trama imbevuta di
metafore, di allegorie e di simboli destinati a enfatizzare come l’uomo si
comporta nel seno storico, come egli cambi solo
se vive in funzione di una speranza, di un ideale, di un mito religioso o
cristiano o pagano o di altra fede. Nel tessuto narrativo l’eterno mito
evangelico di Gesù è incarnato in vari personaggi, ma soprattutto nell’icona
della protagonista Febe.
Con Febe
la scrittrice restituisce l’incarnazione di un Gesù che parla all’uomo
postmoderno, di una creatura eroica tutta dedicata al prossimo, quasi
annullando se stessa, di una figura leggendaria simili a Mohandas Karamchand Gandhi ed a Santa Teresa
di Calcutta. Donna ricca e potente, Febe è una santa matrice di miracoli, tutta
portata a darsi con l’animo altruistico, a vivere aiutando i poveri e i malati.
E quando l’autrice descrive come ella trasforma la sua grande casa in sorta di
ospizio per i senza tetto e per gli infermi, sembra che stia riscrivendo la
rappresentazione manzoniana di Fra’
Cristoforo nel Lazzaretto. La vena fantastica, che serpeggia in una serie di
episodi e incluso quello delle statue che si animano, si fa dominante sia con la
rappresentazione di Febe trasformata in una sorta di medium che dialoga con gli spiriti dell’aldilà, con gli dèi dell’Olimpo
e con quelli dell’Infero, sia con l’affabulazione degli dèi che si trasfigurano
in umani e gli umani che si trasformano in dèi; invece Demetra
è al contempo divina e umana. Nella diegesi queste ed altre metamorfosi
mostrano la tempra ovidiana, gotica, kafkiana. E si suggerisce che nessuna
metamorfosi riesce a soddisfare l’animo inquieto di Febe: “il mondo degli dèi a
cui si era accostata le era sembrato ristretto, meschino, egoista, mentre
sentiva di aver bisogno di qualcosa di più… Il mondo terreno, ma neppure quello
divino, su cui si era affacciata, non le bastava per trovare il conforto e le
certezze di cui il suo cuore aveva bisogno” (36). Le sue inquietudini nascono
dai ripiegamenti sulla felicità, sulla morte, sull’eterno; dai ricordi del marito
defunto e dalla misteriosa scomparsa del figlio; dalle sue fantasticherie
“senza fine” (39); dalle sue riflessione sui problemi della donna, resa
dall’autrice una voce neofemminista anche quando parla del femminicidio, dell’infanticidio,
dell’aborto.
Tuttavia
Febe è sollevata quando in un tempio ode un sermone di Paolo, un ebreo apostolo
e messaggero della dottrina di Cristo che, secondo lui, è la “verità” assoluta
e la “strada della salvezza” (78); al contempo è un difensore della religione
dei suoi avi; narra la storia di come è stato illuminato da Gesù e, come
ritiene un drappello di scrittori cattolici contemporanei (Rodolfo Doni, Lugi
Santucci, Mario Pomilio, ecc.), ben conosciuti dalla Giangoia, anche per lui la
fede è un grande “dono”, la sposa e la vive in tutti i sensi. Febe è tanto
ammaliata da questo evento dando la sensazione che abbia incontrato Gesù in
carne ed ossa. Parimenti a Poalo, anche Febe lotta con dinamico intento di far
conquistare a tutti l’amore di Dio e la vita eterna. E grazie al dono della
fede, tutte le sue incertezze si traducono in certezze, nella sicurezza della
vita nell’aldilà, e nella speranza di riunirsi al figlio nell’aldiquà o
nell’aldilà, speranza che infine riporta magicamente a ritrovarsi con lui a
Corinto. Talvolta una sua amica cerca di risvegliarla dal suo modo di essere: “Corinna
guardò la sua amica con un’espressione di compassione ed esclamò: «Mi sembri una
bambina che crede alla favole!»” (66). Ciononostante Fede è profondamente
arroccato sul suo credo in Dio. In molti aspetti Febe e Paolo sono facce della
stessa medaglia, entrambi si rivelano paladini impegnati a lottare contro il
male, a seminare ed a coltivare i messaggi della comprensione e compassione,
della bontà e della fratellanza, insomma dei valori alti della Sacra Scrittura.
In
svariati episodi il romanzo enfatizza, pur con moduli allegorici, le nozioni
misteriose del nascere, del vivere, e del morire, insomma il mito eterno del
nostro vivere che richiama quello della Fenice; le idee etiche necessarie agli
uomini per cambiare lo stile di vita e quindi per salvarsi: “abbiate buone
parole per quelli che vi perseguitano. Non rendete a nessuno male per male.
Impegnatevi sempre a fare il bene. Vivete in pace con tutti. Non fate le vostre
vendette. State sottomessi alle autorità superiori. Amatevi gli uni gli altri”
(130). Lo scioglimento della fabula
inizia con Febe che, armata di questi e di altri suoi principi, illuminati pure
da una epistola di Paolo, si mette in viaggio per andare a Roma, dove non fa
altro che divulgarli e dove scopre un ambiente di una città fantasmatica.
Con Febe.
Dal tempo all’eterno la Giangoia ci ha regalato uno dei romanzi non solo più
fini nell’arricchire la scrittura postmoderna ma anche più avvincenti e più
belli degli ultimi tempi.
Rosa Elisa Giangoia, Febe.
Dal tempo all’eterno, Roma, Europa Edizioni, 2019, pp. 197, € 15,00.